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14.3.18

Vengo Anch'io (2018)
di Maria Di Biase e Corrado Nuzzo

Esiste un nuovo stile da comici televisivi in vacanza premio al cinema. Non è più quello donnaiolo che ha dominato negli anni ‘80, ‘90 e per un po’ nei duemila, quello che oggi è portato avanti da Alessandro Siani (ma inizialmente anche da Checco Zalone), fondato sulla comica ricerca di una donna molto bella da parte di un uomo molto simpatico e di poche speranze. È un po’ di tempo che le seconde file dell’umorismo televisivo scelgono di arrivare al cinema con storie molto spezzettate ed episodiche sulla falsa riga di Tre Uomini e Una Gamba, spesso sono viaggi (ma non è obbligatorio) contaminati di pillole spicciole di filosofia più o meno esibite. Una specie di velleità poetica che si accompagna sempre molto male all’umorismo.

Meno commedia quindi e più comico, meno struttura, meno intreccio, meno divertimento che viene da una scrittura curata e più sketch immediati. Vengo Anch’io è esattamente questo, tre persone strane, costituiscono il gruppo mal assortito unito da un viaggio il cui scopo è già paradossale di suo (uno di loro vuole andarsi a suicidare). Nello spostarsi incontrano diverse situazioni e vivono piccole avventure in modo comico, trovando negli altri la fiducia in se stessi che sentivano d’aver perso.

Come mai si scelga una simile struttura non è difficile da immaginare: è per facilitare il compito di dare ad una serie di spunti l’unità di un film. Il viaggio solleva il film dall’obbligo di avere un intreccio forte e lo aiuta a presentare le singole situazioni. Ma se poi queste stesse piccole sequenze isolate sono pure noiose è davvero la fine. Accade questo in Vengo Anch’io, film con un’idea di comicità molto povera e affidata all’estro (basso) dei due protagonisti che sono anche sceneggiatori e sventuratamente registi. Sono loro responsabili di tutto in un film che non ha niente. In questo modo una recitazione ordinaria (solo a tratti pessima) non è aiutata da una buona scrittura e i danni fatti da queste due componenti non sono tamponati da una regia esperta. Un disastro a catena.

La mazzata finale però la danno le velleità poetiche. Le pillole di filosofia che il gruppetto trova per strada, scritte sui muri o affisse tramite striscioni (come “Il canottaggio è come la vita, per andare avanti bisogna andare indietro”) sono le massime che dovrebbero dare la linea al film e invece ne uccidono la leggerezza e appesantiscono la godibilità, facendo intuire una pretesa davvero fuori luogo in un film che a fatica tiene lo spettatore sveglio.

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