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3.8.17

Baby Driver (id., 2017)
di Edgar Wright

Lui e lei sono squattrinati ma si amano e sognano di lasciarsi tutto alle spalle, a salvarli può essere solo una macchina con cui scappare via all'improvviso di notte. È l’immaginario delle canzoni di Bruce Springsteen, ma sostituendo la brama di fuggire per andare a vivere davvero altrove con l'esigenza di scampare la morte, diventa Baby Driver che, nonostante la ricchissima colonna sonora, non presenta brani del boss eppure è come se lo facesse.

Edgar Wright stavolta ha preso Driver - L’imprendibile, il film del 1978 di Walter Hill (che compare alla fine in un cameo vocale) a cui già Refn si era ispirato per Drive, e ne ha girato una sua versione. Gli elementi che rimangono sono il protagonista quasi muto (ha avuto un incidente da piccolo e preferisce ascoltare musica e leggere le labbra altrui), il lavoro come autista di rapinatori (al servizio di Doc, organizzatore di rapine di professione), i virtuosismi in auto e i personaggi senza nome (il Pazzo, Baby, Doc, Buddy, Darling…) tutti tranne lei, che proprio per il suo nome può essere incastrata. Il resto è puro Edgar Wright, un film che si descrive in poche parole perché è tutto fattura, montaggio sonoro e visivo, coolness e cicatrici ma soprattutto una mostruosa idea di cinema, più grande di quella di tutti gli altri, decisa a rivedere proprio come i film si fanno.
Se per Refn rifare Driver era una questione di tempi dilatati e immagini (colori, inquadrature, rarefazione), di rimettere in scena una certa idea di romanticismo e di forza calma, per Wright è l’opposto, è una questione di musica, suoni e montaggio di come far comunicare i tre perché lavorino sempre insieme e descrivano la furia che si cela dentro il controllo.

Ogni film ha un suo ritmo ma nessuno lo espone come Baby Driver, che sulle note di Brighton Rock dei Queen fa esplodere auto e colpi d’arma da fuoco tutti ritmati con la canzone, come se i mitra fossero strumenti e chi li impugna musicisti, fa stridere le gomme sull’asfalto a tempo e anche in casa, senza musica, fa in modo che ogni rumore abbia un suo piccolo tempo.
Wright ha sempre usato il montaggio visivo con quello degli effetti sonori per dare un ritmo tutto suo ai film, per riassumere i gesti gli piace tagliare rapidamente tre-quattro inquadrature e lasciarne poi una un po’ più lunga, usando i suoni per aiutare la comprensione. Qui utilizza anche il montaggio interno (come gli elementi di un’inquadratura spostandosi coprono o scoprono qualcosa cambiando di fatto l’immagine) per giocare con ogni angolo dell’inquadratura e dare ritmo a quello che è un lungo musical in cui nessuno balla ma molti muoiono, uno fatto di canzoni non originali ascoltate in cuffia e in cui la musica è un obbligo (Baby, il protagonista, ha un fischio all’orecchio costante e riempie la sua vita di canzoni per non sentirlo). Sbatti le palpebre una volta di più e potresti perderti qualcosa.

Talmente appassionato e coinvolgente è questo modo di rivedere il cinema d’intrattenimento caricandolo di un ritmo trascinante, che da metà in poi può facilmente serpeggiare un po’ di delusione.
Tra inseguimenti creativi con stunt reali e realmente clamorosi, flashback tragici e telefonate cariche di romanticismo in un diner in penombra, pianificando di scappare via insieme, Baby Driver regala una prima parte pazzesca per personalità e senso del divertimento, trovando addirittura una serie di spalle criminali mai scontate (non lo è il pazzo di Jamie Foxx, né la coppia Jon Hamm/Eiza Gonzales). È quindi inspiegabile come poi la scrittura si sieda e prenda le scelte più mosce, di fatto sabotando il film e facendolo correre verso un finale inqualificabile per svolte, conclusioni ed esiti assieme al moscio Ansel Elgort e la ben più vivace Lily James. Tanto più inspiegabile se si pensa che viene dallo stesso autore che con la trilogia del Cornetto (L'alba dei morti dementi, Hot Fuzz, La fine del mondo) ha scritto alcuni dei finali più significativi degli ultimi anni.

Questa volta lo spettacolo del cinema migliore possibile, l’unico che sembra non appoggiarsi a niente di quel che l’ha preceduto, sembra tradire ogni ispirazione e giocare secondo regole che è stato lui stesso a scrivere, non ha trovato una sceneggiatura in grado di giocare al suo stesso livello e la cosa sorprendente è che pure così, forse, Baby Driver è lo stesso un capolavoro.

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