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10.9.16

Sulla Via Lattea (On The Milky Road, 2016)
di Emir Kusturica

MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA
CONCORSO
On the Milky Road non sarà ricordato come uno dei migliori film di Kusturica, assolutamente no, tuttavia afferma come e quanto questo regista sia approdato ad uno stile immediato che vive del secondo in cui è fruito. E lo fa con un piacere innegabile. Quando tutto funziona, e qui molto funziona, i suoi film sono come concerti in cui si è animati da un’esaltazione irripetibile. Forse non è questo un film destinato a rimanere nella memoria, ma le sensazioni scatenate nel momento in cui viene visto probabilmente sì.
Ci si può facilmente infastidire di contadinelle procaci e amorose, di lattai che girano tra le pallottole con un romantico ombrello aperto (come se li proteggesse) e di un gran misto di animali che paiono recitare come attori. Ma forse è meglio farlo in altri film, qui questi elementi fiabeschi vivono con tale energia in un caos in cui la vitalità è parente stretta alla brutalità, che anche la più nota e trita delle figure non può somigliare a nessuno stereotipo.

In questa storia d’amore in guerra (non una novità per Kusturica) esiste un’estasi che non è nemmeno audiovisiva, è proprio sinestetica! Nei suoi mondi caotici, in cui la guerra sembra una condizione indispensabile perché esista un film o una storia degna d’essere filmata, si uniscono musica, rumori e vari elementi in scena. Così nasce un ritmo indemoniato che non è dettato solo dal battere della cassa o dall’esplodere delle granate, non è cioè solo frutto del sonoro ma anche del visivo. Sono gli animali che saltano, i personaggi che fanno cose nello sfondo, la maniera in cui il primo piano sembra importante quanto il secondo e le imprevedibili entrate in scena a dettare i tempi in armonia o meno con il caos sonoro.
In tutto ciò il montaggio (l’arma cui solitamente è demandata la scansione del ritmo) lavora in maniera imprevedibile. On The Milky Road stacca sempre quando non te l’aspetti e anche chi non si interessa di simili tecnicismi ne subisce l’effetto. Subisce cioè l’effetto di questo ritmo scazonte.

Nel clamoroso caos creativo dei migliori film di Kusturica, anche il più banale degli inni alla pace può allora somigliare ad un inno alla guerra del vivere, ad un’esistenza senza ordine ma con molta volontà, il cui unico senso sta nel muoversi, nello stare mai fermi. Questa pare l’unica religione dei personaggi di On The Milky Road. A parte la ricerca della soddisfazione di ogni pulsione elementare (tra cui l’amore è la più alta ma forse non la prima), l’elettrico bisogno di essere messi in moto sembra renderli vivi, gli unici fermi sono i morti. Ma anche lì poco male

Kusturica ha da sempre un rapporto particolare con la morte. La teme, la odia e la depreca ma è anche la paradossale fonte del vitalismo dei suoi film. L’aria funerea che si respira in quest’ultimo film (che non si risparmia eccessi truculenti ed esplosioni di sangue) è fonte di vita e non porta mai vera tristezza. Ci si spara addosso durante le feste nell’indifferenza e nel ballo generale, si muore bruciati vivi in posizioni cartoonesche senza troppo dramma e magari si torna anche in vita con la stessa facilità con cui, ad un certo punto e inspiegabilmente, si vola. Le ferite non fanno male, le orecchie staccate si possono ricucire con ago e filo con la stessa furia con cui si porta il latte facendolo cadere da tutte le parti.
Si tratta di un modo di vivere impossibile, da sogno agitato figlio di un’indigestione ma anche estremamente potente e sentimentalmente assordante.

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