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8.7.15

Terminator Genisys (id., 2015)
di Alan Taylor

È un reboot quello che Alan Taylor è stato incaricato di portare in sala, un film che rivede i primi due capitoli della saga, li fonde insieme e rilancia la mitologia donandogli il bonus della possibile serialità. Non è necessario aver visto i film precedenti per godere Terminator Genisys, in nessun modo si aggancia ad essi anche se è zeppo di riferimenti visivi e piccole citazioni. Come se l'universo di Terminator come lo conosciamo fosse rivisto, rinarrato e rimodernato, Genisys cambia anche nome a Skynet, simbolo più che evidente della volontà di rifondare la mitologia, e soprattutto rivede da capo il tono di tutta l'operazione, proprio quello che era il punto di forza dei film di Cameron.

L'impossibile compito di seguire i primi due capitoli è dunque di fatto scartato, Terminator Genisys è un'altra cosa, un'altra versione della medesima trama che inizia subito con quel che non abbiamo mai visto ma ci hanno sempre raccontato, ovvero il momento in cui le macchine mandano indietro nel tempo il T-800 originale (Schwarzenegger giovane) e gli uomini subito dopo inviano Kyle Reese, il primo con il compito di uccidere il secondo con quello di proteggere Sarah Connor. Ma arrivati nel 1984 sarà subito evidente che le cose non sono quelle che ricordiamo. La medesima scena vista nell'originale primo capitolo, quella del T-800 che "chiede" i vestiti a dei punk, finisce con l'arrivo del T-800 invecchiato (Schwarzenegger oggi). Tutto è cambiato e ci vorrà un film (o più) per capire il perchè.

È indubbiamente apprezzabile la maniera in cui Alan Taylor costelli tutto il film di continui piccoli rimandi ai primi due capitoli. Inizia replicando quasi pedissequamente le due sequenze di arrivo nel 1984 del T-800 e Kyle Reese, procede utilizzando una fotografia identica a quella di Cameron per le scene nella centrale di polizia, poi dispone l'arsenale di armi come si vede nel secondo film, inserisce una caccia tra camion e Harley Davidson, veste Sarah Connor come ricordiamo essere vestita e mille altri dettagli (addirittura un controcampo fatto usando lo specchio deformante appeso alla parete preso pari pari da Terminator II e il "personaggio citazione" di J.K. Simmons). Non sono riutilizzi blandi ma piccole chicche inserite nella messa in scena che in più di un momento rievocano davvero le atmosfere migliori. 
Addirittura nella furia dei molti viaggi nel tempo e dei diversi flashback vediamo molti diversi Schwarzenegger di diverse età (la versione giovane digitale è la migliore, l'unica realmente inumana), e proprio quella dimensione del tempo che passa sul corpo del Terminator (la cui carne è umana quindi invecchia) sembra l'idea migliore del film ma non è sfruttata. In un cinema postBoyhood, l'eterno ripresentarsi in tutte le epoche di un T-800 che attraversa le decadi appassendo ma con un'unica missione in mente, poteva forse essere l'unica vera nuova chiave. Non il sentimento suo ma l'attaccamento di Sarah Connors ad un oggetto che rappresenta la propria vita.
Peccato che venga tutto vanificato dalla scrittura.

La tragedia di questo film infatti sta tutta nel tono. Lontanissimo dall'idea di Cameron di avere una macchina di morte insensibile che insegue la vittima (primo film) e poi la aiuta contro un'altra macchina di morte insensibile (il secondo), il film preferisce costruire la classica "famiglia" interna all'avventura. Peggio ancora ha svenduto l'inumano a favore di una blanda umanità. Come e di più di quanto avevamo già visto nel terzo e quarto film della serie, il robot è in fondo un simpaticone, non lo ammette nessuno ma ha dei sentimenti, e un umorismo più che fastidioso invade quello che dovrebbe essere il dramma dell'azione. Addirittura (pura follia) il T-800 vive anche il contrasto di dimostrare a tutti di non essere vecchio e inservibile. La storia di Terminator è (in teoria) terribile, parla di uomini e donne privi della voglia di vivere che combattono il loro opposto logico, l'assenza totale di comprensione e ragionevolezza, consapevoli di un futuro ineluttabile, gente che ha perso ogni desiderio di leggerezza (il secondo capitolo andava molto in questa direzione), costellata di personaggi fortissimi e dalla coerenza incrollabile. Terminator Genisys non cerca tutto questo, ride e scherza come fosse un'action comedy e cerca la lacrimuccia più semplice di tutte (tramite le dichiarazioni sentimentali). Non si interessa nemmeno della coerenza interna, di cosa possano o non possano fare i robot e di cosa sarebbe più ragionevole per loro. 
Il film è insomma disposto a qualsiasi incoerenza per inseguire il traguardo di un sentimentalismo d'accatto.

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