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11.2.17

O.J. Made in America (id., 2016)
di Ezra Edelman

Si conosca o meno cosa sia accaduto a O. J. Simpson dall’inizio della sua carriera nel football professionistico ad oggi, la visione di O. J. Made in America fornisce l’impressione di non aver mai saputo davvero niente di niente di quegli eventi.
La ricostruzione fatta da Ezra Edelman nel corso delle 5 puntate da un’ora e mezza non è solo profonda ma ampia. Il mondo del football degli anni ’60, la reputazione del corpo di polizia di Los Angeles all’epoca e il suo rapporto con le minoranze afroamericane, lo stato del razzismo nel paese e sui media, e ancora il mondo della pubblicità e quello del cinema, tutto è raccontato con tale pregnanza, competenza e dovizia di connessioni alla storia principale che è subito chiaro che solo in questa maniera sarà possibile capire tutto.

È un’illusione ovviamente, nessun documentario può andare oltre il punto di vista sui fatti di chi lo ha girato o montato, ma un’illusione così calamitante e attraente che fa perdere la coscienza per 7 ore e mezza dietro alle disavventure di un uomo che alla fine somiglierà, per profondità, fascino e parabola ad un eroe imperfetto di un grande romanzo.
O.J. Simpson, simbolo di un lato dell’America, eroe del football, protagonista del più grande caso di cronaca del ‘900 americano assieme al rapimento del figlio di Lindbergh, manipolatore e vittima dei media al tempo stesso. C’è così tanto contenuto in questo bellissimo documentario seriale, graziato con una distribuzione nelle sale americane che l’ha portato fino agli Oscar, che quasi se ne dimentica la forma.

Perché per arrivare ad un racconto così ampio e tentacolare Ezra Edelman gestisce per bene non solo i fondamentali del mestiere (montaggio, interviste, tempi e suspense) ma riesce anche ad amministrare i sentimenti collegati agli eventi con il gusto per l’imprevedibile. Le svolte più note, i momenti più scontati ed attesi non hanno mai l’esito emotivo che si potrebbe pensare, il punto di vista non è mai strettamente quello che ci si attende o che viene caricato e anche gli intervistati riescono a stupire.
L’arte nascosta di questa perla di filmmaking è un lavoro investigativo sulle fonti (cioè gli intervistati stessi) che fa tremare le gambe. I giurati del processo, come gli avvocati ma anche l’agente “pentito”, gli attivisti e le stesse persone che vediamo passare nei video di repertorio, fa molto più clamore chi non c’è a dare la propria versione di chi c’è.

Making of a murder aveva aperto una via, quella del documentario seriale sui casi di cronaca, O.J. Made In America è il primo vero pezzo d’arte di questo genere, il primo film fiume o documentario seriale a creare un intero mondo ed esplorarlo come si potrebbe fare con la Terra di Mezzo o lo spazio di Guerre Stellari. Giù fino alle sue radici, fino agli abissi dell’uomo con l’imprevedibilità che solo la giustificazione di essere una storia vera rende accettabile.

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