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7.9.16

Tommaso (2016)
di Kim Rossi Stuart

MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA
FUORI CONCORSO
C’era un’attesa forse sovradimensionata per il ritorno di Kim Rossi Stuart alla regia dopo l’esordio, 9 anni fa, con Anche Libero Va Bene, film di un rigore, una determinazione e una misura esemplari, da maestro navigato più che da attore esordiente dietro la macchina da presa.
Ora Tommaso mette di nuovo Kim Rossi Stuart nei panni protagonisti e gli fa girare intorno personaggi (soprattutto donne) in una storia di pulsioni sessuali e sottile follia, alla ricerca di un equilibrio sentimentale da parte di una persona che sembra non poterlo trovare, attratto da tutte le donne che vede, incapace di sentirsi legato a quelle con le quali si accompagna.

Già però dalla maniera in cui vengono raccontate le singole avventure, dalla poca precisione con la quale è messo in scena il processo attraverso il quale due esseri umani si legano, si incontrano, si cercano e si mancano (che non somiglia mai alla vita vera, non riesce a risvegliare quell’impressione di verosimiglianza sentimentale che invece è necessaria a dare concretezza), è chiaro che Tommaso è un film molto meno equilibrato. E purtroppo non basta una capacità non comune di mostrare le diverse tipologie di desiderio maschile attraverso lo sguardo, con un campionario di donne che, osservate tramite Tommaso, mostrano quella sensualità evidente, quell'affidabilità, quel mistero, quella tensione selvaggia o in certi casi quell'emotività coinvolgente, che esercitano attrazione sull'uomo.

Tommaso è il bambino protagonista di Anche Libero Va Bene, nonostante quel film sia di 9 anni precedente e il personaggio ora abbia più di 40 anni, è difficile capirlo, nonostante qui riproponga la canzone in inglese inventato che da piccolo cantava in macchina, ma è così. Cresciuto con un padre operatore è diventato attore e ha molti problemi, ha una madre un po’ egoista (quella che era scappata nel film precedente) e continua a chiedergli soldi. Poi ci sono i sogni, gli incubi, le confessioni allo psicanalista e le crisi. Non ne va bene una e non c’è un ambito della sua vita che non presenti problemi.

La psicologia del disagio e delle ossessioni, dell’impossibilità di essere felici è manipolata come avviene nei film di Moretti, attraverso una certa passione per il corpo principale, mostrato nudo, vestito, con barba e senza, da vicino e da lontano, ma anche la visione di mondo di quest’uomo che la espone a parole e la impone al film, sembra provenire dal mondo di Moretti. Peccato che non venga da lì anche la capacità di fare di questo stile narrativo una parabola generale, di partire dal particolare (come vedo io le cose) per parlare a tutti (cosa sentiamo tutti noi). Così com'è questo film è un'esposizione un po' modesta di un campionario convincente di femminilità, da parte di un protagonista incerto e mai davvero capace di guidare un film intero.

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