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12.4.17

Fast & Furious 8 (The Fate Of The Furious, 2017)
di F. Gary Gray

Ci voleva il regista di Straight Outta Compton per rimettere in piedi Fast & Furious all’insegna dei valori di spettacolo oltre ogni capacità d’immaginazione e per farlo all’ottavo episodio (!), cioè quando era ragionevole aver perso le speranze.
Ci voleva cioè che il franchise che concepisce il mondo e i suoi rapporti di forza come un’unica grande corsa illegale si adeguasse al paradigma di molto cinema di grandissimo incasso hollywoodiano: registi con sensibilità d’autore per spettacoli giganteschi. In questo caso per una trama come sempre degna di un episodio di un telefilm anni ‘80: Dominic Toretto ha tradito la “familia”, è passato con il terribile nuovo nemico di turno, Cipher, una hacker imprendibile che ha come obiettivo (di nuovo) la conquista del mondo. Parallelamente per catturare un Toretto la gang dovrà arricchirsi del villain dell’episodio precedente che, rivoltato, è già diventato uno dei buoni: Jason Statham. Il resto sono inseguimenti e finale con grande pranzo familiare sul tetto.

A questo turno la maniera in cui le acque sono artificialmente ingarbugliate funziona bene, perchè F. Gary Gray trova un equilibrio non facile tra l'esigenza di ognuna delle molte star coinvolte di avere il proprio tempo di esposizione in un film di 145 minuti (che sono pochi per il numero di nomi in cartellone). Nonostante questa durata inaccettabile per molti altri film d’azione, Fast & Furious 8 non appena prende l'abbrivio (cioè dopo un’oretta di traccheggio) galoppa ad altissimi regimi, facendo il proprio lavoro al meglio, cioè incrociando l’action surreale e l’umorismo, disegnando un cartone animato in cui ogni personaggio guida un’auto che gli somiglia e in cui persone, enti e gruppi possono compiere azioni incredibili senza che sia necessario spiegarne la logistica o senza bisogno che venga mostrato come sia stato possibile. In Fast & Furious, come sempre, tutto esiste per il proprio effetto scenico e non per le implicazioni che ha o le conseguenze che può avere, tutto vive nel momento stesso in cui l’occhio lo consuma. Nei momenti migliori questo immenso finger food di immagini ha un potere massaggiante di indubbio godimento, la sua difficoltà semmai sta nell’imprimersi nella memoria.

Fast & Furious infatti ruba sempre gli immaginari, non li fonda, qui ad esempio tra le molte parti del collage si notano la visualizzazione digitale degli attacchi hacker di Watch Dogs unita alle corse sul ghiaccio di 007 La Morte Può Attendere. Il lavoro di questi film è immaginare altro. Il titanismo di Fast & Furious significa avere in ogni episodio la capacità ammirabile di immaginare centinaia di macchine che si muovono come zombie o una scena grandiosa come quella dell’inseguimento sul ghiaccio, una in cui (come si vede nel trailer) sia non solo accettabile ma degno d'applauso che The Rock esca da un SUV in corsa sul ghiaccio per spostare con le mani la traiettoria di un missile. Quando una scena del genere, una che contiene così tante microscene dall’equilibrio delicatissimo, riesce a questi livelli è uno sforzo di creazione, armonia, movimento e ritmo interno impressionante. Uno in cui gli esseri umani non vanno perduti ma anzi ne escono esaltati nella loro capacità di abitare simili deliri d’azione al pari degli oggetti che esplodono (si veda il modo in cui Jason Statham crea una personalità per il suo personaggio durante la rissa in carcere). In Fast & Furious 8 gli attori non recitano, sono semmai parte di una performance grandiosa, in cui a chi si muove poco (Charlize Theron) spetta il decisivo compito di catalizzare sentimenti e carisma come il villain di una soap opera.

Il lato su cui il film invece depone definitivamente ogni arma, dichiarando la propria resa rispetto ai principali concorrenti (i più giganteschi e corali film Marvel) è quello della narrazione. Stavolta l'annoso problema di dover spiegare come mai i personaggi siano dove stanno e debbano fare quel che stanno per fare, sembra risolto affiancando all’establishing shot (l’inquadratura con cui nei film inizia ogni scena ambientata in un luogo nuovo per lo spettatore, inquadrandolo da lontano o dall’alto per far capire dove siamo) anche un l’establishing speech, cioè un dialogo che ad ogni inizio scena fa il riassunto di cosa sia successo, come se gli spettatori fossero appena entrati in sala. È il trionfo di un continuo: “Ehi, ricordami perché ho accettato di seguirti fino a qui?” seguito dalla spiegazione di quel accadrà prima che avvenga, l’esatto contrario del racconto per immagini come lo conosciamo e amiamo.

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