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31.10.15

Kreuzweg - Le stazioni della fede (Kreuzweg, 2014)
di Dietrich Bruggeman

La struttura di Kreuzweg è matematica, dopo un prologo il film si suddivide in piccoli quadri corrispondenti alle varie stazioni della via crucis. Ogni quadro è costituito quasi da un'inquadratura unica in cui tutto avviene. Ogni volta quindi assistiamo ad una scena in tempo reale, cioè nella quale la durata della scena corrisponde al tempo in cui la vediamo noi. Saltando qualche giorno ad ogni quadro assistiamo ad alcuni minuti nella vita della protagonista, la cui storia si fa sempre più appassionante. 
Deviata da un'educazione bigotta cattolica la bambina al centro della storia desidera essere rigorosa, ha interiorizzato i precetti e li vuole eseguire alla lettera per aiutare il fratello malato. Tutta la forza di Kreuzweg sta nella maniera minimale, controllata e molto precisa con la quale la situazione sfugge sempre più di mano.

Se vi siete mai chiesti a cosa serva e che radici o motivazioni abbia lo stile rarefatto e lento del cinema più autoriale Kreuzweg è la risposta. Controllando tutto Bruggeman realizza effettivamente dei quadri, delle immagini in cui la composizione è al limite della perfezione tra estetica e funzionalità, tra montaggio interno (l'entrata e uscita dei protagonisti e il loro movimento nell'inquadratura) e scelte visive. Il tono dimesso della recitazione e il ritmo frenato sono la maniera migliore per entrare in una storia che è difficile da comprendere e frustrante da seguire. Quello raccontato infatti è un martirio che una persona infligge a se stessa per instradarsi su un impossibile percorso di santità ma Bruggeman lo fa senza un odio eccessivo o un punto di vista di condanna per la religione (tanto che inserisce anche personaggi dal credo più morbido).

Ma lo stile compassato di Kreuzweg è soprattutto importante per lo spiazzante finale che dimostra la buona fede del cineasta e la complessità della storia. Lungo tutto il film attraverso quel punto di vista così apparentemente oggettivo (camera fissa, nessuna enfasi) abbiamo l'impressione di assistere ai fatti per come si sono svolti, liberi di farci una nostra idea. In realtà scopriamo alla fine di aver avuto un pregiudizio anche noi, di essere stati influenzati dal film a farci certe idee che vengono smontate a sorpresa.
Proprio questo avanti e indietro tra ragione e torto, tra pregiudizio ed esito della storia, è un movimento fondamentale per la comprensione la potenza e la forza dello stile più antipatico e respingente ma, se utilizzato bene, anche il più complesso e coinvolgente.

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...ma sono vivo e non ho più paura! by Gabriele Niola is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 3.0 Unported License.