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2.12.15

Regression (id., 2015)
di Alejandro Amenabar

Amenabar è tornato ai suoi temi, ai suoi svolgimenti e ai giochi mentali che avevano caratterizzato la sua produzione anni ‘90. Dopo il passo falso di Agorà riprende dalle basi, le sue basi, cioè una storia in cui ciò che avviene nella testa dei protagonisti è la parte più interessante, quella che occupa gran parte della messa in scena. Come in Tesis anche Regression si addentra in una realtà (vera) molto dura e nera, come in Apri gli occhi c’è un protagonista che non è mai chiaro se veda il vero o il falso, come in The Others tutto viene caricato per un buon colpo di scena conclusivo.
In più si tratta di una storia vera. O quasi.

Regression è ambientato negli anni ‘90 e somiglia un po’ ad un film degli anni ‘90, si svolge in una delle zone d’America colpite dall’ondata satanista e inizia quando una ragazza accusa la propria famiglia di averla obbligata a partecipare ad un rito satanico. Quest’accusa scoperchia una pentola e riporta a galla sospetti e indagini dell’FBI in materia, tutto in mano ad un detective di provincia dalla dura fibra morale e l’incrollabile fiducia nella scienza. Ad aiutarlo uno psichiatra esperto di ipnosi regressiva, metodo con il quale addentrarsi nella testa dei sospettati.
C’è quindi già l’idea che la mente nasconda cose nello spunto ma Regression lavora per andare più a fondo.

Mentre la parte più dinamica del film mette il detective contro il suo distretto e braccato dai satanisti, spaventato da ciò che non conosce e timoroso di scoprire che quello a cui non crede, la religione, sia in effetti reale. È lo spunto migliore di tutto il film, il gioco con i fantasmi personali del protagonisti ma più di una volta si ha l’impressione di essere più interessati a questa parte di quanto non lo fosse Amenabar.
Perché in Regression è tutta una questione di ragionamento e di logica, nonostante il regista abbia la consueta maestria nel gestire la suspense (l’assalto in casa del detective è in questo senso esemplare) nel film si sente molto la mancanza di un vero coinvolgimento. La scelta di Emma Watson nel ruolo della ragazza che accusa la famiglia pare perfetta, considerata l’evoluzione del personaggio, la sua remissiva carica sessuale a metà tra innocenza e allusione è l’aria giusta. Eppure Regression sembra l’opera di un regista fuori forma, fiacco e che crede poco in quel che fa.

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