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1.9.12

The Master (id., 2012)
di Paul Thomas Anderson

CONCORSO
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2012
PUBBLICATO SU 

C'è tutto Paul Thomas Anderson nell'incredibile sforzo che i due personaggi al centro di The Master (per l'appunto il maestro e l'allievo) fanno per costruirsi l'identità che vogliono ed esserne all'altezza. Da una parte lo scienziato del paranormale, l'indagatore dell'animo umano con mezzi poco convenzionali, l'innovatore, seguito, amato e idolatrato da un gruppo che è come una famiglia (cioè una setta) e magari anche riconosciuto dalla comunità scientifica, dall'altra il reduce di guerra un po' scemo, molto traumatizzato e con problemi di aggressività in cerca di pace, sicurezza e riparo.

Come in tutti i film del regista di Magnolia la lotta che anima la storia è tutta interna a dei personaggi che cercano disperatamente di diventare quel che desiderano, di raggiungere degli obiettivi che hanno a che vedere con la conquista di uno status o la ridefinizione (in meglio) della propria identità. Non a caso quest'ideale si nutre di interpretazioni memorabili su personaggi costruiti in ogni dettaglio. In The Master si tocca un nuovo vertice in questo senso. Hoffman è immenso nel suo lavorare con il contagocce per distillare il carisma infinito di una figura debole, mentre Joaquin Phoenix, vero maratoneta, esagera con controllo e usa tutto il corpo, anche la schiena e la postura nel piano d'ascolto, per diventare l'immagine stessa dell'insicurezza violenta.

Con uno stile visivo magnifico e opulento e un'organizzazione del racconto (prologo, crescita e showdown finale) entrambe ricalcate sul modello di Il Petroliere, Anderson stavolta mette in scena un'amicizia, che è un rapporto di dipendenza sentimentale fortissimo, usando i mezzi dell'epica. Benchè non sia mai nominata, dietro i personaggi c'è sempre la grande storia e davanti a loro i grandi spazi. Tutto è immenso in questa storia in cui due figure cercano un rapporto basato su presupposti di potere dell'uno sull'altro e di fiducia cieca dell'altro sull'uno. E' una relazione che comincia squilibrata e sempre di più trova un equilibrio che sorprendentemente i protagonisti stessi faranno una commovente fatica ad abbandonare. E quest'inaspettata emotività è forse il pregio maggiore del film e contemporaneamente ciò che mancava a Il Petroliere.

Per fare tutto ciò Anderson allunga i tempi forse anche oltre quanto si sarebbe dovuto, e gira un film con un passo volutamente più lento rispetto al suo solito (il classico ritmo scandito da una fusione di rumori e score andersoniano compare in pochi punti) ma anche dotato di una dolcezza che non siamo abituati a trovare in lui.
Più di tutto però si affida ad una fotografia ed un impatto visivo potentissimi, ovviamente amplificati (anche solo idealmente, visto che non tutti lo vedranno nel formato giusto) dall'uso della pellicola 70mm, trionfo dell'alta definizione prima dell'arrivo del digitale ed oggi (se vista proiettata nella sua forma originale) incredibilmente simile al livello di colore, dettaglio e profondità raggiunto dal digitale più evoluto.
The Master dunque è un film che se guardato nel dettaglio offre infiniti spunti di gioia e trovate esaltanti, mentre visto nel complesso è di una semplicità inusuale, simile a quella di Ubriaco d'amore, di quelle che per fare breccia hanno bisogno di sedimentare per un po' dentro lo spettatore.

8 commenti:

frankie666 ha detto...

Tifo Anderson. Lo dico apertamente.

C e niente di fomentante quest anno? Un 13 assassins....


gparker ha detto...

no. E non hai idea quanto rosico di ciò.


alp ha detto...

beh, spero sia meglio del PETROLIERE


gparker ha detto...

No. Il petroliere è meglio.
Ma io l'avevo adorato Il petroliere


frankie666 ha detto...

A proposito di fomento. Vado un attimo OT:

Ieri visto Dredd. Primo vero film mezzo indie sui supereroi.

Fomentone. Altro che Ghost Rider.

Consiglio vivamente.


alp ha detto...

io avevo adorato BOOGIE NIGHTS, meno gli altri


Anonimo ha detto...

Per prima cosa voglio farti i complimenti per l'ottimo blog e per la tua grande proprietà di linguaggio e capità di scrittura. Voglio però fare una critica. Quando parli di recitazione trovo che tu faccia affermazioni un po' strambe. Ad esempio: "esagera con controllo e usa tutto il corpo", Hoffman invece recita con mezzo corpo? Cosa significa? Gli attori recitano sempre con tutto il corpo, che sia un corpo carnevalesco o meno. L'attore compie un grandissimo sforzo a controllare tutto il corpo e ad essere molto misurato pur riuscendo a cambiare personaggio. Usi sempre espressioni molto fantasiose, la mia preferita è Servilleggiamento. Devo dire che i commenti sulla recitazione di Servillo proprio non li capisco, prima dici che è un grande attore e poco dopo scrivi di lui le peggiori cose che si possano scrivere di un attore, lo accusi di clichè, insomma lo accosti a personaggi come Chuck Norris dicendo che l'attore prevale sul personaggio.

Luca


gparker ha detto...

ok grazie per i complimenti, riguardo invece le mie posizioni sugli attori posso dirti che:
- quando parlo di recitare con il corpo intendo dire usarlo per bene e davvero. E' chiaro che anche i peggiori attori recitano con il corpo per il solo fatto di muoversi, ma i migliori attori usano i movimenti, la postura, gli equilibri e tutte quelle componenti non facciali per recitare. In alcuni casi poi queste componenti fisiche diventano quasi più importanti delle espressioni del viso (dipende dal personaggio ovviamente). Joaquin Phoenix fa un lavorone sul corpo, gli dà proprio le caratteristiche che servono e lo muove in maniere poco convenzionali. Se uso l'ossimoro "esagera con controllo" è per esprimere come pur cercando di strafare non sia mai fuori luogo.

- Invece su Servillo faccio un discorso non diverso da quello che faccio su altri grandissimi attori. quello che mi sembra di notare è che spesso, proprio in virtù della loro immensa presenza scenica, delle loro doti e della forte riconoscibilità della loro recitazione, questi mangino i propri personaggi e quindi i film in cui recitano. A Servillo capita quando non è diretto da un regista capace di farlo correre comei l cavallo di razza che è e invece finisce per farsi guidare da lui. Film come Gorbaciov o una vita tranquilla finiscono per mostrare più lui che il film e tu sei quasi consapevole di guardare Toni servillo e non il personaggio del film.
Non lo paragonerei mai davvero a Chuck Norris ma penso che questo di essere più grande del film sia un difetto che rischiano tutti i grandi. Ad esempio lo penso anche dell'immenso Daniel Day Lewis in Il petroliere, in certi momenti esagera e non è tenuto a bada, non come avviene per dire in L'ultimo dei Mohicani o L'età dell'innocenza, film in cui è ugualmente bravissimo ma irregimentato e fatto correre per il bene della squadra e non per i propri traguardi.


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