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3.6.15

Fury (id., 2014)
di David Ayer

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A David Ayer non importa niente del contesto storico, della tragedia della seconda guerra mondiale, del rapporto con la Germania nazista e delle condizioni che hanno portato all'intervento americano in guerra. Fury si svolge negli ultimi giorni di guerra in una specie di limbo incredibile in cui tutto sta per finire, il clima è parzialmente rilassato e l'esigenza di dover continuare a pattugliare, girare la Francia e in certi casi combattere o scampare bombe ha un senso di futilità unico, diverso da quello cui il cinema di guerra ci ha abituato. Ma più di tutto quel che sembra interessare ad Ayer è la maniera in cui i corpi dei soldati sono martoriati, segnati, bruciati, mutilati, sporcati, segnati e tagliati dall'esperienza. In molti hanno voluto fare film di guerra dalla parte dei soldati, nessuno ne ha raccontato in questa maniera il lento morire, il lento essere smembrati, penetrati, escoriati, bruciati e fatti effettivamente a pezzi. Anche l'immortale Brad Pitt, protagonista eterno e volto della vittoria per antonomasia, sembra destinato a morire inesorabilmente fin dalla prima inquadratura.

Con l'espediente più classico di tutti, l'arrivo di un novellino in una brigata di esperti, Fury imbastisce un racconto di guerra di rara precisione e meschinità, in cui davvero la morte è l'unica presenza che conta. Questo Mucchio Selvaggio di soldati su carroarmati, pronti a morire per niente, che sembra per un attimo riprendere fiato in un salotto francese abitato da sole donne (lo stupro è però sempre dietro l'angolo), si butta nel combattimento con un'ansia di decesso che è impressionante. Come se fossero convinti di meritare la morte la cercano senza sosta, come fosse una droga la desiderano ma con disperazione.
Non c'è dubbio che nella testa di David Ayer ci fosse l'intenzione di realizzare il film di guerra più sporco di tutti, il meno conciliante e il più fangoso e sanguinolento. Non sono solo i colpi sparati ma anche la pelle massacrata, i denti staccati e i volti strappati dalla faccia a costituire l'inferno della fine dell'uomo che è quest'ultimo scampolo di guerra, un conflitto che sembra aver perso anche qualsiasi ombra di ideale.

Non c'è dubbio che spesso il film esageri in velleità poetiche ma è anche innegabile come possieda una forza e una determinazione nel mettere in scena il suo inferno (nell'ultima parte dichiarato con le luci rosse) che impressionano. Con un esito finale molto più roseo di quanto non ci si potesse aspettare Fury si merita la medaglia al valore di film "memorabile", capace cioè di rimanere nella memoria e non andarsene più, dotato della rara capacità di innovare in un terreno noto e abusato come il cinema di guerra e di farlo nella direzione della concretezza.
Esageratamente meticoloso nella ricostruzione, nei mezzi, nei dettagli, nei tracker luminosi degli spari è però nei volti segnati che il film gioca la sua partita e centra tutto quel che poteva centrare.

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