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22.11.16

Slam - Tutto Per Una Ragazza (2016)
di Andrea Molaioli

FESTA MOBILE
TORINO FILM FESTIVAL
Con la prima parte di Slam - Tutto Per Una Ragazza, tutta skate, risate, musica e storia d'amore ingenua tra due goffi, sembra di essere tornati all’inizio degli anni 2000, quando davvero sembrava che un cinema per ragazzi sofisticato e sincero potesse tornare ad esistere, quando pareva che storie di adolescenti che fanno gli adolescenti e che sembrano realmente adolescenti potessero finire sui nostri schermi con la medesima facilità con cui lo vediamo accadere in altri paesi.

Samuele è malato di skateboard e Alice è una ragazza che fallisce tutto quello che inizia, hanno 16 anni, si incontrano in una festa a cui nessuno dei due vuole stare e finiscono (quasi) subito a letto. Sfacciati e impacciati, cotto (lui) e insicura (lei), entrambi sono determinati a fingere il contrario per trovare il conforto del sesso e dell'amore. Si innamorano e si amano in un rapido montaggio a cui manca solo lo skate e che infatti finisce con Samuele che sente la mancanza del proprio piccolo mondo. Lui è ordinariamente scemo, il film ha la grazia di non nascondercelo mai e il coraggio di non temerlo (anzi pare proprio innamorato di questa sua caratteristica!), l'unica cosa che Sam ha in testa è lo skate. Non solo lo pratica ma sa a memoria la biografia del campione Tony Hawk (la cui vita usa come riferimento per la propria, in una trovata semplice ma dannatamente centrata). Il cinema adolescenziale, a farlo bene, è tutto qua.
Quando per vigliaccheria pura Samuele decide di troncare unilateralmente e semplicemente scompare dalla vita di Alice, si fa negare, non la chiama né risponde ai messaggi, il film entra nel vivo, perché lei si scopre incinta.

Non c’è niente di usuale in questo film tratto dal libro di Nick Hornby e adattato da Francesco Bruni, Ludovica Rampoldi e Andrea Molaioli (che l’ha anche diretto). La storia di due ragazzi che con una certa avventatezza e molta stupidità vogliono a tutti i costi tenere il bambino è un piccolo saggio di come sia possibile parlare ad un pubblico vasto (per tipologia, interessi ed età) senza abbassare tutto al minimo comun denominatore. E il confronto con il pur riuscito Piuma, evidente per la comunanza di tema e idea di personaggi, lo vede vincere con molto meno abuso di commedia (si ride ma meno fragorosamente che in Piuma) e molta più empatia verso scelte, vicissitudini e idiozie di personaggi con cui è difficile concordare ma a cui è impossibile non voler bene visto come sono guardati e narrati.

Nonostante il film sfrutti un goffissimo meccanismo di avanti e indietro nel tempo senza che ce ne sia bisogno e soprattutto senza che tutto ciò abbia una vera economia o utilità sia di racconto che sentimentale (Samuele ogni tanto si sveglia qualche mese o qualche anno nel futuro, vive una giornata spaesato e poi torna al presente, il perché non è chiaro e pare non interessare nemmeno a lui, come se lo sognasse), lo stesso è evidente che il mondo in cui si muovono i personaggi, piccolissimo, tutto giocato tra i Parioli e il quartiere adiacente, Villaggio Olimpico, è il migliore possibile al cinema. Slam è condotto con una tale bontà che anche quando si allontana dalla commedia adolescenziale per assumere un punto di vista meno naive o ad altezza ragazzi, riesce a non far rimpiangere il cambiamento.

Non è chiaro chi sia il pubblico di Slam se i ragazzi, a cui si rivolge con quella prima parte così perfettamente calata nei luoghi comuni del cinema adolescenziale, nella sua ingenuità e nel suo umorismo scemo, oppure i più adulti, a cui parla con l’evoluzione della trama, di fatto però la maniera in cui rifiuta ogni discorso elevato, trovando nella complessità di ogni essere umano la propria serietà (incredibile Jasmine Trinca, madre al tempo stesso amorevole e snaturata) lo rendono universale. Soprattutto lavorando benissimo con il cast di contorno (ci sono anche un Luca Marinelli e un Pietro Ragusa in grandissima forma) ha quel sapore al tempo stesso cinico e sentimentale che per la durata del film ci dà l’illusione di poter afferrare la complessità della realtà.

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