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21.5.16

Aquarius (id., 2016)
di Kleber Mendoça Filho

CONCORSO
FESTIVAL DI CANNES
Molto rumore per nulla. Da come apre il suo film Kleber Mendoça Filho sembra pronto a conquistare il pubblico, sembra pronto ad aprire in due lo schermo e infilarci dentro un delirio di sensazioni, di memorie miste a eventi presenti, di stimoli sessuali incomunicati dai suoi personaggi ma forse davvero chiari solo a noi che li guardiamo. Il film che seguirà sarà però un'altra cosa.
Aquarius ha inizio negli anni '80 con un prologo in cui la futura protagonisa del film è ragazza e assiste al compleanno di sua madre, ormai anziana, che nell'ascoltare una dedica dei propri nipotini scorge un mobile in legno in un angolo di casa sua e questo le suscita ricordi di giovinezza, di amplessi consumati proprio su quella cassettiera, di cunnilingus nel sole dei propri 20 anni. Il contrasto tra questo presente e quei ricordi ha il sapore del cinema migliore, il montaggio e i tempi con cui vengono affiancate le scene, il ritmo che creano con la celebrazione del compleanno animano un momento unico, una maniera bellissima di mostrare una vita intera e una personalità giustapponendone due momenti.

Il film però è un altro e si svolge ai nostri giorni, quando la protagonista è ormai nella sua terza età, vive da sola nella vecchia casa (ha ancora quella cassettiera della nonna, ogni tanto ci viene ricordato ma questo non è un elemento determinante) e deve scontrarsi con una società edilizia che ha comprato tutti gli appartementi del suo palazzo e vuole anche il suo per poterlo abbattere. Il diniego di fronte a qualsiasi cifra le venga proposta causerà una battaglia tra la grande società senza scrupoli e una donna anziana ma determinata e giovanile.
A puntellare questa trama estremamente convenzionale (che sfocerà nell'esito più prevedibile e consolatorio, più ruffiano e scontato che si possa credere) saranno pochi e sparuti lampi di memorie del passato che si materializzano ma più che altro i battibecchi con i figli (che vorrebbero lei vendesse), le chiamate a giovani gigolo per godere ancora del sesso, i piccoli momenti romantici e le gioie di un nipotino. La cronaca della vita di questa donna anziana, tra un desiderio di piacere ancora tangibile e la lotta per mantenere vivo un luogo che sembra essere l'origine della sua forza, è l'unica tensione che attraversa un film dal montaggio fantastico ma poco altro.

Non si può negare l'evidenza con cui emerge che nello storytelling di questo regista c'è una qualità magica, la possibilità di guardare una trama piena di digressioni svolgersi con fluidità e nessun senso di noia, ma anche a tratti l'ardore di far entrare il fantastico, l'onirico e il metafisico con una concretezza che tuttavia non crea mai incomprensione. È infatti grazie alla maniera in cui il film è montato e non grazie a come è scritto che è sempre chiaro cosa sia sogno e cosa realtà, cosa vero e cosa ricordo.
Perle perse in una storia lunga e inconcludente, un'elegia della combattività di un personaggio interessante più per come è concepito che per quello che mostra di sè. La sensazione è di aver assistito alla parte meno interessante della vita di questa persona, il terzo sequel, ormai stanco e senza idee, di un film che al primo episodio doveva essere davvero molto bello.

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