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28.10.15

Mustang (id., 2015)
Deniz Gamze Erguven

Mustang si batte per essere uno dei film migliori della stagione. Per farlo parte dai presupposti di molto cinema festivaliero, ovvero raccontare uno scenario retrogrado in cui una categoria umana è privata dei più elementari diritti e non voltarsi di fronte ai soprusi che una buona parte di mondo (certamente quella ritratta) subisce ogni giorno. Tuttavia affronta il suo compito con spirito profondamente diverso dalla media. La storia è quella di 5 sorelle nel nord della Turchia che, tornando da scuola con dei compagni, si buttano in mare vestite e scherzano con loro. Qualcuno le vede e riferisce ai parenti quest'atteggiamento lascivo e perduto, ne conseguirà un inasprimento del loro confino e la conseguente esplosione del desiderio di libertà. Sentitevi liberi di associare questa trama a Il giardino delle vergini suicide, non nè lontanissima, sappiate però che il film non potrebbe essere più diverso. Se quello di Sofia Coppola è un trattato psicologico, questo è un film tutto pelle e corpi, cosce e capelli.
È proprio lo spirito a non somiglia a quello di tanti film simili, non c'è infatti la muta rassegnazione dell'osservatore esterno nè la forza dell'indignazione ma un'attiva e adolescenziale partecipazione alla voglia di evadere. Questo da solo fa tutta la differenza.

Come in un conto alla rovescia le 5 sorelle una per una se ne vanno, chi per il bene chi per il male, una ad una cadono sotto l'insofferenza di questa prigionia familiare che le obbliga a certi mariti, certi riti e certe castrazioni personali. Abiti, amori e pensiero, tutto è forzato ma Mustang si sofferma decisamente più sulle fasi in cui pianificano o desiderano la libertà che su quelle in cui si viene repressi. Qui sta parte del suo segreto, nel cercare di filmare lo spirito di ribellione più delle dinamiche di prigionia, il desiderio di un domani migliore più della tragedia presente.
Una parte non trascurabile in tutto ciò la giocano le 5 protagoniste, di 5 età diverse, tutte fortemente caratterizzate da capelli neri lunghissimi (come la razza di cavalli del titolo), segno inequivocabile di libertà che una volta tanto non è solo metafora intellettuale ma anche piacere visivo. Il desiderio di non essere come la famiglia vuole non è insomma nelle parole ma nei capelli.

Erguven non rinuncia quindi mai al suo sguardo su tutta la storia, uno apertamente maschile, che come prima cosa guarda i corpi femminili traboccanti di desiderio e pronti ad essere desiderati, macchine dell'attrazione confinate a cui viene proibito quello che è percepito come il loro destino primario. È quella sicuramente l'immagine da cui parte tutto, quella non tanto di 5 ragazze chiuse in casa ma di 5 corpi (a diverse fasi di maturazione) incontenibili, la cui repressione è più fisica che mentale, più una questione di sbarre in acciaio costruite che di lavaggio del cervello. 
In definitiva, e grazie al cielo, il piccolo segreto dell'originalità di Mustang sta nell'usare la parabola delle sue protagoniste e della loro lotta quasi impossibile per la libertà di costume e di essere femmine come mezzo e non fine. Il fine è la supremazia della carne sulla testa (almeno a quell'età), il clamoroso potere distruttivo e attrattivo che ha un corpo giovane e l'innegabile dittatura che esercita sugli individui.

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