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9.6.15

Affare fatto (Unfinished Business, 2015)
di Ken Scott

C'è una confusione incredibile in questo film. L'intento pare di capire è quello di fare una commedia con dei risvolti e un'idea di fondo molto seri, un film che abbia qualcosa da dire sull'etica del lavoro e il mito del vincente, qualcosa che non sia la consueta retorica hollywoodiana (consueta anche quando critica) e mescolare tutto ciò con l'umorismo demenziale. Eppure nulla funziona.
Vince Vaughn è il centro del film, la bilancia tra i vari toni, l'impiegato che ad inizio film si licenzia per aprire una propria attività, ormai stanco dei soprusi e dei ritmi alienanti che gli vengono imposti, intorno a lui Tom Wilkinson e Dave Franco sono un pensionato appena cacciato per raggiunti limiti di età e un mezzo scemo. Dopo un anno arriva la prima svolta, un accordo da chiudere in fretta prima che la vecchia compagnia lo faccia, una partnership che li può rimettere in pista. Per farlo però bisogna andare fino in Europa mentre a casa i figli hanno ben più di un problema.

Il primo guaio di Ken Scott è quanto male si adatti all'umorismo statunitense. Il regista francocanadese approdato ad Hollywood con il successo di Starbuck e del suo remake (sempre da lui girato) Delivery Man, non sembra davvero a suo agio con ritmi e tempi comici di questo film. A farne le spese è soprattutto il personaggio di Dave Franco, dovrebbe essere la furia comica ma è una voragine di tristezza e la morte stessa del ritmo.
Sembra che Ken Scott e Steve Conrad (sceneggiatore già autore di polpettoni come I sogni segreti di Walter Mitty, La ricerca della felicità e The Weather Man) non avessero un terreno comune d'accordo da cui l'incredibile confusione tra toni, piani di racconto e intenti di Affare Fatto. 

Confusione che decolla quando i tre arrivano in Europa. La Germania che esplorano è un coacervo di leggende metropolitane generiche sull'Europa, unisce le saune unisex dei paesi scandinavi, con i continui rave, un'esagerata manifestazione della cultura LGBT, il traffico, gli ostelli della gioventù e la passione stravagante per l'arte. I tre riescono in pochi giorni a partecipare di tutte le tipiche stramberie europee come capita a I Simpson quando si muovono da Springfield, ma l'impressione è sempre quella della presa in giro da parte di chi non conosce ciò di cui parla.
Nonostante Wilkinson sia la macchietta di se stesso e Vince Vaughn insegua una densità e una complessità che non gli appartengono, sacrificando la forza distruttiva della sua comicità, lo stesso il film il crimine più grave di tutti sembra rimanere quello di aver sottoutilizzato e ingabbiato un attore come Nick Frost, privato della sua forza e costretto nei panni del servo sciocco, il triste ciccione. Non c'è maniera peggiore di fraintendere la maniera in cui è in grado di portare in scena il proprio corpo esagerato.

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