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26.5.16

Il Traduttore (2016)
di Massimo Natale

C’è la polizia ma non è un poliziesco, c’è un defunto ma non è un drammatico, ci sono immigrati ma non è un film d’autore. Esiste un ampio spettro di possibilità che si aprono alla trama di Il Traduttore senza che nessuna venga seguita. Andrei è un collaboratore della polizia in un caso di droga, ma anche la persona che viene incaricata da Claudia Gerini di tradurre il diario del marito morto, tutti modi di raccimolare un po’ di soldi in più rispetto a quelli che fa come pizzaiolo e riuscire a consentire alla sua ragazza di raggiungerlo in Italia, non come clandestina ma con un regolare permesso di soggiorno.

Che i personaggi soffrono lo scopriamo perché urlano, che siano innamorati perché si mordono il labbro quando nessuno risponde alle loro telefonate, e che siano disperati perché distruggono una stanza a notte fonda. Ci sono solo emozioni fortissime nel film di Massimo Natale e sono tutte accuratamente raccontate a parole o con azioni clamorose. Il gesto non è mai sottile, l’espressione non è mai misurata, il primo problema che il film ha è evidentemente con la recitazione.
Ogni membro del cast è diretto per avere reazioni iperboliche o per simulare un terribile realismo, con il solo risultato di far apparire tutti pessimi attori. Anche Claudia Gerini, che più volte ha dimostrato di padroneggiare personaggi come quello che le viene affidato, sembra lavorare con in mente l’idea preconcetta di “film intellettuale”, con un costante broncio pensoso che finisce per trasmettere la sensazione diametralmente opposta.

Ad aiutarli non arriva purtroppo la sceneggiatura, che oscilla tra le frasi più abusate del doppiaggese poliziesco quando sono in scena ispettori e commissari (“Hey! Io qui mi sto giocando il culo!”), e la sottolineatura delle emozioni più forti.
È abbastanza chiaro che l’intenzione sia quella di raccontare una specie di perdita dell’innocenza da parte di un protagonista che decide di prendere alcune decisioni difficili nei due lavori da traduttore che fa, ma davvero è impossibile dare credito a questa pista davanti ad un film che crede così tanto in scelte così sventate. Affidare le difficoltà del personaggio principale alla recitazione di Kamil Kula e poi dirigerlo perché lavori addirittura in sottrazione pare un azzardo che davvero non paga. Come del resto anche pensare che realmente si possa approdare a qualcosa di complesso e sofisticato passando per una messa in scena così povera, una che pare avere come unica possibile soluzione per ogni scena le intense interpretazioni.

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...ma sono vivo e non ho più paura! by Gabriele Niola is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 3.0 Unported License.