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29.5.17

You Were Never Really Here (id., 2017)
di Lynne Ramsay

CONCORSO
FESTIVAL DI CANNES
Non stupisce di trovare la regista di ….E Adesso Parliamo di Kevin al timone di You Were Never Really Here, di quel film questo ha il medesimo andamento narrativo sconnesso in cui lampi del passato si mostrano al pubblico grazie alle loro ripercussioni nel presente. Stavolta il personaggio tarato è il protagonista (anche se di nuovo è un figlio), nel suo passato ha dei traumi che capiremo lentamente e fa un lavoro violento, è un sicario a pagamento.
Questo personaggio, interpretato da Joaquin Phoenix, è la cosa migliore del film, un orso pesante con il barbone, trasandato ma letale che stringe un rapporto ironico ed ambivalente con la madre anziana con cui vive. Killer dai modi spicci ma efficaci, desidera morire e, come il protagonista di Blade of The Immortal, metterà da parte questo desiderio di morte per aiutare una bambina a vendicarsi.

Lei è una delle sue missioni: recuperarla per conto dei genitori da un traffico di prostituzione minorile. L’affare è però più grosso di quel che si potesse credere, ci sono politici coinvolti e la violenza sale immediatamente di livello, coinvolgendo polizia e guardie private. A questo punto la vera trama si innesca. È cioè il rapporto tra i due (non privo di una certa identità visto che anche lei è violenta ed ha dei traumi) ad animare la parte più coinvolgente del film, che tuttavia arriva decisamente troppo tardi.

Nonostante la figura bolsa e disperata di Joaquin Phoenix, martoriata per tutto il film, tenga vivo l’interesse distruggendo il suo fisico già precario, You Were Never Really Here asciuga all’inverosimile il genere criminale senza sapere davvero bene che fare, quali siano i suoi punti di forza o su cosa puntare.
Ci sono stacchi che saltano attimi di violenza presentandone solo le conseguenze e un modo di usare musica diegetica (cioè appartenente alla scena, che ascoltano anche i personaggi) per far capire le evoluzioni interiori del protagonista, ma nel complesso suonano come soluzioni fini a se stesse, che non costruiscono nulla e vengono utilizzate con scarso legame l’una con l’altra.

La sensazione è proprio quella di assistere ad un film di diploma di una scuola di cinema girato a budget altissimo, uno che mette in pratica tanti concetti che in teoria funzionano ma nella pratica andrebbero gestiti e manipolati meglio. Anche la riproposizione reiterata dello stacco sull’espressione impassibile di Joaquin Phoenix come soluzioni ironica sembra fuori posto, soprattutto nell’ottica di un finale inutilmente provocatorio e molto ingenuo.

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