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20.5.15

Sicario (id., 2015)
di Denis Villeneuve

FESTIVAL DI CANNES
CONCORSO

PUBBLICATO SU  
In Sicario esiste un mondo di frontiera fantastico in quel luogo in cui gli Stati Uniti confinano con il Messico e contemporaneamente il thriller poliziesco puro confina con il cinema d'autore, lo ha creato Roger Deakins, direttore della fotografia delle meraviglie che con Denis Villeneuve riesce a mettere a punto un universo tra la guerra, il crimine e il drammatico. La storia è quella di due agenti dell'FBI mandati a coadiuvare una task force del governo americano all'opera in Messico, l'obiettivo è reprimere un cartello della droga. Il gruppo si appoggia ad un consulente locale, dai metodi spicci e l'etica discutibile, più si avanza però meno sono chiari per i due agenti gli obiettivi dell'operazione e quale sia al suo interno il loro ruolo.

Non meraviglierà nessuno scoprire che c'è un intrigo governativo dietro la storia di questo film in cui due agenti federali vengono trascinati in un inferno illuminato alla grande. Al suo terzo film americano Villeneuve sembra comportarsi come un Michael Mann non americano centrando perfettamente ciò che non era mai riuscito a mettere a fuoco in patria, assieme a ciò che invece gli è sempre riuscito meglio: l'incertezza di La donna che canta con il mondo terribile caotico di Prisoners.
Ancora più che in passato sembra che tutto in Sicario passi per gli ambienti, che la costruzione di una realtà irreale, calligrafica per certi versi ma straordinariamente capace di inventare una lunga gamma di immagini memorabili (i militari che sfilano al tramonto pronti per l'operazione, la silhouette di un coltello nella notte, le solite riprese ad infrarossi usate in maniere inedite). In questo mondo limpido e chiaro come quelli di Mann, traboccante di realismo spietato nelle sue scene d'azione (i ringraziamenti vanno ad un comparto sonoro eccellente) e preciso nei riferimenti, si agita però un rumore di fondo, qualcosa di poco chiaro e molto perturbante.

Sicario si colloca con prepotenza esattamente all'incrocio tra la soddisfazione degli istinti più basilari, tipica del cinema che punta a grandi incassi, vuole intrattenere e desidera ardentemente conquistare più pubblico possibile, e le atmosfere sospese, incerte, dubbiose e colme di una paura indefinibile che solo chi ha una padronanza narrativa fuori dal comune riesce a creare.
Uno stropicciatissimo Benicio Del Toro ritrova dopo molto tempo un ruolo alla sua altezza, mentre Josh Brolin sembra lavorare di sponda per tutti, granitico come una montagna serve assist buoni per ogni altro attore in scena con lui e con minimalismo raro definisce in maniera netta e corretta il suo militare. Tuttavia è Emily Blunt, non indifferente alla Jessica Chastain di Zero Dark Thirty, a fare il grosso del lavoro, con piani d'ascolto fantastici, un continuo senso d'inadeguatezza mal compensato da grande forza e per nulla celata femminilità. Le caratteristiche dei personaggi migliori.

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