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30.12.15

Quo vado? (2015)
di Gennaro Nunziante

Questa volta c’è la pubblica amministrazione e il posto fisso nel mirino di Checco Zalone. Il suo personaggio è un fiero addetto ai timbri dell’ufficio Caccia e Pesca della Provincia che per mantenere il suo posto fisso accetterà qualsiasi trasferimento.
Dopo che nel film precedente si era divertito ad esagerare il mondo dell’imprenditoria giovane piena di fiducia nel domani, ora si diverte con il suo opposto, il culto del posto fisso, dell’impiego pubblico e intoccabile, la voglia di non lavorare e di sistemarsi. Nonostante il film, diretto da Gennaro Nunziante come i precedenti 3, rimanga una commedia povera di linguaggio e basata su una sola idea (la stessa di tutte le altre con al centro un comico), cioè inquadrare il protagonista per fargli pronunciare le battute, è indubbio che l’atteggiamento di Checco Zalone, di film in film, sia sempre più stimabile

Zalone è uno dei pochi comici che odiano. Non è interessante sapere se realmente l’attore Luca Medici abbia delle antipatie o del livore, di certo il suo personaggio Checco Zalone è una maschera che prende in giro con rabbia, che non accarezza ciò che maltratta ma va giù pesante, alludendo a ciò che non si può dire. Per questo Quo vado? è un film anche migliore di Sole a catinelle, perché con più decisione tra voler bene e odiare sceglie la seconda.
Se i primi due (Cado dalle nubi e Che bella giornata) se la prendevano bonariamente con le minoranze, con chi viene dal meridione o all’opposto con chi vive al nord, ora ha cominciato a mettere a fuoco meglio i bersagli. Nonostante il film sia ambientato per lo più all’estero, l’impressione è sempre che il paese con cui fa da rimpallo sia il nostro, perché lo si riconosce. Nonostante le altre nostre commedie di successo trabocchino di bei luoghi italiani e tavolate imbandite di pasta, non sembrano ambientate oggi nel nostro paese, Quo vado? invece in ogni momento dimostra di voler parlare di modernità. Purtroppo non con la medesima continuità per tutta la sua durata.

Nella sua prima parte il film è un continuo montaggio di aguzzini e vittime, luoghi e rincorse, fughe e minacce, la trama è il continuo spostarsi di un uomo braccato dallo stato che lo vuole licenziare. In questo ha una dinamica e una rapidità stimabili, sceneggiatura ridotta all’osso e grandi idee. Purtroppo poi entra di prepotenza la consuetudine, gli intrecci più abusati e le stazioni che paiono obbligate. Arriva una spalla femminile che rimane tale per tutta la storia, oggetto del desiderio, sorriso angelico e mai donna carnale, un sole da rimirare e che motivi nuovi percorsi. Arriva il gioco più semplice tra Italia e estero, prima la stima della Norvegia e della sua civiltà contrapposta alla nostra inciviltà, poi il disprezzo della sua negatività contro il “bel sole e la buona cucina italiana”, in perfetta armonia con l’esterofilia nostrana e il provincialismo delle piccole tradizioni. Quando Quo vado? comincia ad inseguire le strutture convenzionali e le opinioni preconcette del pubblico crolla, quando inizia a prendere in giro le più banali ovvietà (i ristoranti italiani all’estero non sono buoni come i nostri, vivere sempre al buio intristisce) perde ogni forza.

Ciò che rimane però è un film comico che fa ridere davvero (nonostante del linguaggio filmico comico non abbia niente, perché è tutto umorismo verbale di Zalone come un monologo teatrale), il che non è poco, assieme ad un atteggiamento che non può non essere sponsorizzato. Perché alla fine ciò che impedisce a Zalone di sprofondare nell’abisso della melma indistinguibile dei suoi colleghi (da Pieraccioni a Siani) è quella capacità di porsi un nemico, di opporsi a qualcosa con grande forza. Non ha l’assurdità e la follia divergente di Maccio Capatonda, nè di certo la capacità del Fantozzi di Salce di parlare e attaccare con tutte le componenti della messa in scena (dalla fotografia al montaggio fino a scenografie e costumi), ma di sicuro lo spirito è il medesimo.

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