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21.5.14

Winter Sleep (Kış Uykusu, 2014)
di Nuri Bilge Ceylan

CONCORSO
FESTIVAL DI CANNES 2014

PUBBLICATO SU 
Comunque uscirà dalla serata di premiazione è evidente che Winter Sleep è uno dei film migliori di quest'edizione di Cannes e in assoluto una punta anche nella già straordinaria filmografia di questo regista turco. Chi non lo conosce farebbe bene a recuperarlo perchè è forse l'unico oggi in grado di ridefinire il concetto di "durata" di un film. Tutto nelle sue opere sembra gridare ad una lentezza esasperante, quando in realtà non si controlla mai l'orologio e soprattutto si rimane avvinti come davanti ad un thriller in cui la natura parla di concerto con gli uomini (siano le stagione di Il piacere e l'amore o le montagne di C'era una volta in Anatolia).

Questa volta il letargo del titolo va subito al punto della questione, senza nessun mistero su quale sia la chiave di lettura prediletta per le storie di questi personaggi legati da rapporti complessi. Come in un film di Asghar Farhadi infatti quel che anima la storia non sono gli eventi ma la loro ricostruzione a posteriori in un'alternanza di pareri e punti di vista che obbligano lo spettatore prima a prendere di volta in volta le parti di fazioni opposte e alla fine ad arrendersi di fronte all'impossibilità di risolvere il conflitto (perchè la realtà in sè è quasi impossibile da conoscere sul serio). Come sempre in Ceylan non è tanto quel che accade ma come si viene a patti con quel che è già accaduto, il processo di riassestamento dopo eventi traumatici o dopo le più naturali rivoluzioni sentimentali.
Se gli altri registi fanno dire ai loro personaggi "Non ti amo più" Ceylan gira un intero film per capire cosa questo significhi.

In più però Winter sleep mette in scena una miseria dell'animo tutta particolare, l'ignavia che blocca tutti in un lungo letargo che, ovviamente, fa il paio con la stagione in cui vivono: l'inverno rurale in una montagna nella quale le abitazioni sono scavate nella pietra.
Scavando attraverso conversazioni da decine di minuti l'una, Ceylan riesce a presentare i 3-4 personaggi fondamentali e poi lentamente convincere lo spettatore che forse non sono quel che sembrano, che dietro ognuno ci sia di più, anche se questo di più non viene mai mostrato ma è solo suggerito e per farlo gli affianca immagini pazzesche come quella del cavallo trascinato fuori dall'acqua (ma come si esegue un virtuosismo simile, tra perfezione estetica e cattura di un momento difficile da ripetere?).
Se i protagonisti meritino quel che accade o anche i molti insulti che prendono è difficilissimo da comprendere ma alla fine è anche evidente che questo lungo, straordinario viaggio in cui non è possibile fare a meno di porsi continue domande sulle persone, le scelte e la maniera migliore di essere con i propri pari, conta molto di più di qualsiasi conclusione.

2 commenti:

Christian ha detto...

Un gran film, con una sceneggiatura eccezionale e una caratterizzazione psicologica dei personaggi (che fuoriesce tutta dai dialoghi, fra l'altro) che si ritrova raramente nel cinema odierno. Forse "C'era una volta in Anatolia" mi era piaciuto un pochino di più, ma per me è una Palma d'Oro meritata.


gparker ha detto...

Io c'ho la fissa di Iklimer ma pure questo che roba incredibile. Che cineasta. E che uomo!


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