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22.5.16

The Salesman (Forushande, 2016)
di Asghar Farhadi

CONCORSO
FESTIVAL DI CANNES
Asghar Farhadi è un regista di thriller. È un regista che si inserisce nel solco di Hitchcock, è un manipolatore di suspense, dosatore di informazioni, organizzatore di indizi e maniaco delle trame ad orologeria in cui nulla accade che poi non serva ad un intreccio più grande. The Salesman di nuovo fa bene attenzione fin dall'inizio a non rivelare tutte le informazioni cruciali sul fatto che sconvolge la vita della coppia protagonista: i due in seguito all'evacuazione del palazzo in cui vivono si spostano in una mansarda affittatagli da un amico. Un giorno lei risponde al citofono pensando sia lui, lascia la porta aperta e va a fare la doccia, entrerà qualcuno che la aggredirà (difficile capire fino a che punto). Intenzionato ad andare fino in fondo sarà l'uomo della coppia, a partire dagli oggetti che l'aggressore ha lasciato a casa loro prima di scappare (denaro, un cellulare e le chiavi di un furgoncino parcheggiato sotto casa loro), ad intraprendere un'indagine in proprio con lo scopo di ottenere vendetta.

Ciò che rende unico anche questo film di Farhadi è il fatto che, come già Una Separazione e Il Passato, la suspense è costruita negando l'azione e usando le parola ma senza scegliere un'impostazione teatrale. Nel cinema iraniano, se non si vuole incorrere nella censura una delle molte regole da rispettare è che uomini e donne non si devono toccare, per questo il bandolo dei film di Farhadi è quasi sempre un contatto che non vediamo e che per tutto il film si cerca di stabilire se sia avvenuto o meno. Ma invece che avere un serrato confronto dialettico tra due persone, The Salesman mette un uomo in condizione di indagare la realtà, lo fa girare, gli fa usare la testa e gli dona motivazioni crescenti ad ogni interazione con il prossimo. La maniera in cui questo autore crea tensione a partire da una tecnica personale di rilascio graduale delle informazioni e delle contraddizioni è unica e destinata a fare scuola.

Mentre la sceneggiatura lavora come fossimo in un film di rapina, di quelli in cui un piano inesorabile va meso a punto senza sbagli, la messa in scena procede in parallelo e racconta qualcos'altro, mostra un mondo in cui la vittima è la persona che più si vergogna di dover spiegare perché ha fatto entrare in casa uno sconosciuto, in cui la polizia probabilmente non aiuterà e in cui esiste un timore del giudizio altrui per essere stata vittima di un simile assalto che è come una cappa asfissiante. E il dettaglio sconvolgente della maniera in cui questo regista raggiunge il suo obiettivo, il terribile senso del giudizio esterno, sta nel fatto che tutto si misura con gli sguardi dei personaggi, che giudicano, si arrabbiano, patiscono e provano pietà.
L'arma principale del cinema di Farhadi è lavorare su come i suoi personaggi si guardano a vicenda, come definiscono il loro status e la percezione che hanno di sè a partire da come gli altri li guardano, un'arma che incrocia la recitazione (sempre ottima) e il montaggio. In sè una dichiarazione sul proprio paese.

Com'è consuetudine tutti i più piccoli dettagli che sono stati sullo schermo anche pochi secondi, ma che Farhadi ha inquadrato così da farci comprendere la loro importanza, si riveleranno cruciali nel gran finale in cui uno svelamento a sorpresa del colpevole sembra rimandare a M, il mostro di Dusseldorf, smascherando di colpo la vera natura del film. Ad assillare i protagonisti non sarà tanto l'indagine per risalire al colpevole ma il dilemma morale di fronte alla vita di questi, di fronte alle sue paure, esigenze e piccinerie. Per questo, nonostante abbia un ruolo più breve degli altri, è l'immenso Babak Karimi a ricoprire forse il ruolo più importante, quello che più instilla dubbi e spazza via ragionamenti logici a favore di compassione pura.

Gli amanti delle grandi metafore e dei paralleli, della metanarrazione e dei livelli ulteriori di significato, potranno poi appassionarsi al fatto che i protagonisti recitano in una compagnia amatoriale che nei giorni dell'assalto e della caccia al colpevole mette in scena Morte di un commesso viaggiatore, con ovvi paralleli che possono essere tracciati tra quella storia di delusioni familiari, venditori che muoiono e timore del confronto con i propri pari e la storia del film. Di tutto quel che The salesman ha da dire questa forse è la componente meno clamorosa, ma è anche vero che il film sembra adorare la mescolanza che esiste nelle vite di queste persone tra messa in scena e realtà, tra personaggi recitati e vita personale.

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