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2.10.12

Step Up 4: Revolution 3D (Step Up Revolution, 2012)
di Scott Speer

PUBBLICATO SU 
Mai serie di film fu più uguale a se stessa di quella di Step Up.
Perfetta macchina dai facili incassi (basso budget, stellette televisive di seconda categoria, alto interesse del pubblico), caratterizzata da meccaniche basilari (lui e lei vengono da due mondi diversi rappresentati da stili di danza differenti e la loro unione, funestata dai rispettivi diversi background, sarà sancita dalla fusione danzereccia), ogni nuova iterazione di Step Up conferma la precendente e prepara per la successiva, ripetendo un formato sentimentale che non è certo nato con i film di danza di strada e associandolo ad una progressiva maturazione dei personaggi benchè non siano sempre i medesimi.

Si è cominciato con i problemi scolastici, poi le accademie e le università, poi il lavoro e ora la protesta. Ogni film ha un tema, un velo che blandamente ricopre e dà un colore diverso al medesimo disegno, giusto per salvare le apparenze. Stavolta è la protesta civile, danzare per qualcosa e non più solo per se stessi ma per farsi sentire. Step Up tenta di leggere ogni ambito della vita attraverso la lente della danza, cioè ogni ambito dell'attualità risolto e vissuto da ballerini di strada. Il razzismo, il disprezzo altezzoso delle classi più alte, il capitalismo e ancora l'ecologia, la comunicazione in rete e via dicendo. Tutto al servizio della danza. Lo sforzo è tanto assurdo quanto encomiabile.
Eppure, lo sanno tutti, non è certo per la trama o per gli audaci messaggi che Step Up è girato quanto per le sequenze di ballo e per l'estasi visiva che nei momenti migliori riesce a mettere in scena e questo quarto episodio (il secondo in 3D) è uno dei casi più felici.

Caratterizzato da grandi scene di massa, molto ben coreografate e con decisamente più impegno e più iperboli che in passato, questo quarto film arruola più professionisti e meno attori (nonostante il protagonista in primis sia un non-ballerino), usa un 3D finalmente in tutte le scene e con un po' di testa, riuscendo così a regalare, al netto del solito repertorio di banalità, un po' più di momenti che valgono il prezzo del biglietto.
Con un po' più d'arroganza critica e di banalità si potrebbe dire che lo Step Up dei tempi di Occupyqualcosa (#OccupyDanceFloor) ma sarebbe solo una forzatura a posteriori buona per articoli sensazionalisti. Di davvero attuale Step Up non ha nulla se non i passi di danza.

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