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1.1.16

Little sister (Umimachi Diary, 2015)
di Hirokazu Koreeda

Parte come un Ozu moderno questo film di Hirokazu Koreeda, con un equilibrio familiare ma molto lontano dal classico nucleo e più vicino alle famiglie spezzate contemporanee.
Ci sono tre sorelle tra i 20 e i 30 anni che vivono insieme nella casa di provincia in cui le ha lasciate la madre che ormai non sta più con loro. Hanno dei caratteri che non sono riconducibili a nessuno stereotipo tranne la maggiore, che fa un po’ da madre alle altre due, le quali conseguentemente sono meno in grado di prendersi cura di sè. Il giorno del funerale del padre (anch’egli ormai lontano da anni ma perché risposatosi) conoscono la loro sorellastra, figlia unica del secondo matrimonio, ha 17 anni e la invitano a vivere con loro.

Questa decisione scatena un film che più meno racconta un anno o poco più nella vita di questo nuovo nucleo, con l’obiettivo di rivoltare la situazione iniziale, cioè di mostrare come dietro quelle che sono scelte logiche per ogni personaggio ci sia sempre qualcos’altro.
È cinema domestico, di piccole scenette anche slegate fra loro, tutto salotto, partite di calcio femminile, cucina e ristorante di un’amica, un film di lievi drammi e qualche gioia, di fidanzati ridicoli e ubriacature comiche, uno dotato di un senso di permeante umanità che tuttavia non viene da nessun personaggio in particolare, nessuna scena madre o nessun momento. Non c’è niente in Little sister che sembra lasciar uscire ciò che il film ci mette molto a costruire, nemmeno la scena più clamorosa dei fuochi d'artificio domestici, è come se trasudasse lentamente lungo tutta la storia.

Il passare del tempo è un’arma fondamentale per Little sister, ciò che serve allo spettatore per entrare in contatto con i personaggi con la necessaria intimità e la delicatezza indispensabile ad abbassare le difese.
La sorella di mezzo (forse la più interessante tra tutte) apre il film con una scena di grande sensualità, con il proprio corpo in mostra, con una frivolezza così naturale da essere quasi imbarazzante, mentre la piccola (delle tre iniziali) è un esserino particolare, inconsueto e fuori da ogni standard o canone di bellezza, la più sistemata e anche la meno ambiziosa. Dall’altra parte la maggiore sembra nascondere i propri sentimenti al pari della sorellastra imbarazzata e inibita. Nonostante abbiano caratteri non sempre concilianti e siano tutte diverse tra loro, la prossimità che Hirokazu Koreeda crea lungo tutto il film fa il miracolo e stabilisce un legame potentissimo che poi viene usato per la chiusa.

Come tutti i film che si prefiggono (e raggiungono) l’obiettivo incredibile di mettere in scena la vita delle persone per come si svolge, senza intrecci particolari o trame appassionanti, anche Little sister è un vero gioiello di ritmo e penetrazione nell’animo umano. Un quadro da ammirare potenzialmente all’infinito che svolge il suo compito senza farlo pesare allo spettatore.

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