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27.11.15

The Devil's Candy (id., 2015)
di Sean Byrne

AFTER HOURS
TORINO FILM FEST
Il cinema d'orrore satanista è giunto negli ultimi anni a sposare il meglio della filosofia metallara. Lontano dalla bigotta condanna e dalla facile associazione tra musica metal e satanismo, diversi film stanno cominciando a fare un'associazione più complessa tra le due, una in cui satanismo e metal sono legati, per scherzo o meno, ma non da rapporti di causa ed effetto. Deathgasm e ovviamente anche The Devil's Candy sono ottimi esempi di come raccontare una storia di paura legata al diavolo, usando protagonisti affiliati al metal per affermare la vicinanza dei due mondi non da un punto di vista sostanziale (il metal non è la porta del satanismo) ma da quello visivo ed estetico. La tensione verso un immaginario satanista da parte di uomini e donne dai sentimenti cristallini e limpidi, umani e migliori (come sempre è al cinema) di chi invece è omologato al gusto e all'estetica dominanti è il cuore di tutto.

Qui padre e figlia sono uniti dalla passione per il metallo e la cosa, nell'economia della trama, non ha utilità, non servirà a portare loro dal male o viceversa, ma serve solo a caratterizzarli. The devil's candy infatti il suo meglio lo dà con le associazioni visive, con un protagonista che è la versione in carne ed ossa della tipica iconografia di Cristo, con un mercante d'arte che sembra il demonio, con luoghi, persone e un uso del colore rosso che sono la vera linea di trama, ancora di più di quella che vede la famiglia trasferirsi in una casa dove è stato compiuto un omicidio e nella quale torna l'impunito colpevole.

Il fascino di questo film altrimenti molto semplice sta dunque nell'associare gli ingredienti sfuggendo i rapporti tradizionali di causa effetto, lasciando che siano le suggestioni a parlare, non dicendo nulla di esplicito ma spruzzando molto nell'aria e chiudendo con il necessario finale ad alta tensione e molto sangue. Alla fine The Devil’s Candy forse non lo si può nemmeno definire un vero film demoniaco, talmente poco è presente in maniera indubitabile il maligno, ma più uno che afferma la concretezza e pervasività di ciò che chiamiamo “male”. Non teme di aderire ad una religiosità di ritorno, cioè di sposare l'idea per la quale il male siamo noi e il diavolo è in tutti Sean Byrne, e nemmeno una visione dissacrante della famiglia. Non si mette insomma paura di conciliare gli opposti e alla fine confezionare un film d'amor metallaro convincente. Perchè proprio nell'unione di ciò che la morale comune ci fa percepire come opposto sta la sintesi della complessità.

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...ma sono vivo e non ho più paura! by Gabriele Niola is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 3.0 Unported License.