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16.10.14

La moglie del cuoco (On a failli être amies, 2014)
di Anne Le Ny

PUBBLICATO SU 
Alle volte anche i francesi fanno film all'italiana, quelli in cui c'è una coppia benestante, c'è un elemento modaiolo (in questo caso l'alta cucina), c'è un tradimento e il tentativo di sondare la difficoltà del vivere moderno attraverso una girandola romantica per nulla vorticosa nè originale, tutta appoggiata sulle spalle degli attori.
È così La moglie del cuoco, commediola leggera leggera in cui Emmanuelle Devos prende subito le redini di ogni interazione, oscilla tra emancipazione e tradizionalismo, tra manager e disoccupata donando da sola ritmo a quel che ritmo non avrebbe.

Si tratta di un cinema che sembra affermare il massimo della libertà (vivere la vita che si vuole, cambiare coppia, scegliere per se stessi, non rimanere vincolati a nulla) e invece è il massimo della chiusura, perchè ripetendo se stesso perpetua sempre i medesimi luoghi comuni. Personaggi, situazioni e idee che lentamente escono fuori moda, non sono più in grado di parlare del tempo in cui vivono gli spettatori (ammesso e non concesso che l'abbiano mai fatto) e costituiscono il nuovo conservatorismo. Gli stili di vita che 40 anni fa erano nuovi e liberi, oggi a furia di essere ripetuti, istituzionalizzati e narrati sono diventati la regola, dunque il sistema. Per questo continuare a narrarli equivale a continuare a mettere in scena il più tradizionalista degli scenari senza l'allure del vero classico, della vera tradizione.

Ecco perchè alla fine in un film come La moglie del cuoco, ineccepibile sotto molti punti di vista, scritto con decenza (sebbene privo di qualsiasi ombra di guizzo), recitato con mestiere e condotto con abilità, si confonde nella massa di suoi simili, incapace di emergere, incapace di farsi ricordare se non per la potenza della sua protagonista. Emmanuelle Devos non la scopriamo infatti oggi, è una delle interpreti più calamitanti del panorama francese, capace di donare complessità a qualsiasi personaggio interpreti e dotata di un'innato senso del dramma che le consente di eccedere nella macchietta senza per questo mai risultare fuori tono o compromettere il delicato melange che dona onesta umanità ad ogni suo personaggio.

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