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14.7.16

Una Spia e Mezzo (Central Intelligence, 2016)
di Rawson Marshall Thurber

Non siamo più all’inizio degli anni 2000, e finita quella stagione anche il regista di Palle al Balzo annaspa in una pozza senza personalità. Il film del 2004 era un puro prodotto Frat Pack, il collettivo formato da Ben Stiller, Will Ferrell, Vince Vaughn, i fratelli Wilson e Jack Black. Quel gruppo di attori benediva ogni produzione a cui prendeva parte con un umorismo potente e dilagante, nuovo per ritmo e uso del demenziale ma anche classico per scansione e racconto. Il Frat Pack sembrava trasformare in oro ogni film che toccasse, anche quella pellicola del 2004 sul paradossale settore professionistico di Palla Avvelenata con cui esordiva come regista e sceneggiatore unico Rawson Marshall Thurber.

Dodici anni dopo in Una Spia e Mezzo, film che Thurber dirige e co-scrive, di quello stile e di quell’umorismo non c’è più traccia. È la terza volta che Kevin Hart propone il personaggio del serio professionista tirato dentro in affari più pericolosi di lui dopo Poliziotto in Prova e Duri si Diventa (che se non altro aveva il solito dilagante Will Ferrell, comico che sembra diventare più giovane e demenziale con l’età). Qui poi, come in Poliziotto in Prova, Kevin Hart è l’unica linea comica accanto ad un duro classico, ovvero Dwayne Johnson, in versione spia della CIA amante di marsupi, unicorni e film con Molly Ringwald. Le gag che sembravano esaurite nel primo film, tirate alla lunga nel secondo sono ora quasi abbandonate a favore di una storia senza né capo né coda.
Il ritmo è blandissimo e l’umorismo così convenzionale che si fatica a ridere se non per qualche gag fisica. Ma il punto non è quello, una volta tanto.

Vedendo Una Spia e Mezzo viene da chiedersi quanto dell’umorismo del Frat Pack, portato alle estreme conseguenze e adeguato all’evoluzione delle comicità abbia ancora senso. Nella storia il personaggio di Dwayne Johnson è un ex sfigato ciccione del liceo che 25 anni dopo è una bestia (cioè Dwayne Johnson). Per aumentare il contrasto comico gli vengono date diverse caratteristiche effemminate senza un atteggiamento effemminato, per l’appunto la passione per gli unicorni e una lunga serie di stereotipi gay, uniti ad un’affezione esagerata per Kevin Hart (ad un certo punto lo bacerà anche di sfuggita come fosse un errore, poi confesserà di aver dormito per anni con la sua giacca del liceo). Tutto questo affermando chiaramente la sua eterosessualità. In un film del Frat Pack sarebbe stato esilarante, qui lo è molto meno.
È parte dell’evoluzione di quell’umorismo sul bromance esasperato che saltò agli occhi di tutti con Superbad, ma viene da chiedersi quanto sia rimasto di quelle idee e quanto invece siamo di fronte ad un modo come un altro per ridere delle caratteristiche effemminate come si faceva decenni fa. Quando l’umorismo basato sul discomfort dello spettatore e sulle figuracce dei personaggi può essere spinto prima di essere offensivo “di ritorno”? Una Spia e Mezzo segna forse il confine.

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