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24.5.15

Chronic (id., 2015)
di Michael Franco

FESTIVAL DI CANNES
CONCORSO

PUBBLICATO SU  
Indipendente più nella forma che nelle idee, in realtà uniformato come pochi altri ad una moda imperante, Chronic è un raro esempio di film che appare sbagliato fin dall'inizio, fin dalla sua concezione. Il racconto è quello di un infermiere che lavora con i pazienti malati terminali. Sta a casa loro, li aiuta in tutto quello di cui hanno bisogno, è amorevole e servizievole. Tutto però ha un prezzo e sembra che l'infermiere premuroso non riesca ad essere così affettivo anche nella vita privata. Per mettere in scena tutto questo vengono scelti i silenzi e i momenti più banali ma senza un pensiero dietro, non c'è nulla che motivi una scelta così difficile e punitiva per lo spettatore, nulla se non l'ambizione ad uniformarsi ad un linguaggio standardizzato per le produzioni autoriali.

Franco costruisce il film affiancando paziente a paziente, di malato in malato il suo protagonista è al centro di scene tra il quotidiano, il disperato e il divertente. Viene cacciato perchè fa vedere porno ad un uomo morente, assiste una donna che desidera morire senza aspettare che la malattia faccia il suo corso e via dicendo. Ogni volta è implicito che lui, l'infermiere David interpretato con impassibilità da Tim Roth, è più vicino a queste persone che non conosce dei loro stessi parenti. Lui con il suo atteggiamento distaccato ma presente, silenzioso ma affettuoso sembra capirli davvero. Ha perso il contatto con il mondo dei sani ed è perfettamente a suo agio con chi è vicino alla morte.

Da dove si va di qui? Da nessuna parte. Chronic, non ha nulla da dire sembra. Mentre l'infermiere aiuta i suoi pazienti in un trionfo di noia il film annaspa nel tentativo di trovare una propria chiave, un senso più grande che giustifichi la visione della noiosa quotidianità del lavoro di David. Lo sforzo dello spettatore in buona sostanza non è mai ripagato.
Impossibile da seguire e molto opaco nel suo senso, il film vanta anche un finale a sorpresa di raro fastidio, un affronto conclusivo tra la banalità della chiusura del cerchio e la volontà di un ultimo grande shock che ovviamente non è tale.

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