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13.9.15

Light years (id., 2015)
di Esther Campbell

MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA
SETTIMANA DELLA CRITICA
Cinema inglese di prati e pioggerella, di rapporti distrutti e famiglie che faticano a definirsi tali, in Light years tre figli cercano di ritrovare la madre che sanno essere ricoverata, non si rassegnano alla sua demenza incipiente e si illudono di poter tornare a stare tutti insieme, come se questo di conseguenza aggiustasse le loro vite.
Un’adolescente, un preadolescente e una bambina, tutti con i più normali problemi della loro età, con paure e difficoltà che si sentono bloccati dalla rovina del loro nucleo familiare, abbandonati da una madre ricoverata assieme ad un padre che non parla più, o non interagisce più e si è chiuso nel proprio lavoro.

Light Years, presentato nella Settimana Internazionale della Critica al Festival di Venezia, cerca di costruire la dolcezza non tanto di un sentimento ma di un desiderio di sentimento, l’aspirazione ad un ritorno indietro nel tempo all’età felice. Il suo pregio maggiore è di farlo non tanto con la trama quanto con il casting (i tre fratelli sono di un’ordinaria mestizia inappuntabile) e con le interpretazioni sottotono. C’è un’evasione dalla casa di cura e un deprimente pomeriggio insieme che porta alla di coscienza dei tre figli che non è più possibile stare con la loro madre, che il passato non torna e che è anni luce lontano. Tutti sono costretti a guardare avanti ad affrontare da soli i loro problemi.

È quindi un film che inganna per arrivare al suo fine Light Years, perché illude di raccontare una storia di famiglia quando invece racconta della consapevolezza di non poter far tornare un passato idilliaco, l’obbligo ad andare avanti senza voltarsi a rimpiangere i giorni perduti. In questo la malinconia di posti che sono lontani da tutto e immersi nel verde più triste sono perfetti, vita al margine, orizzonti limitatissimi, possibilità ridotte a poche alternative. Tra volti e paesaggi Light Years costruisce un impianto visivo che parla da solo, uno nel quale ammirare animali in gabbia. I tre sanno che le loro opzioni non sono troppe e l’assenza di una famiglia come gli piacerebbe averne di certo non amplia lo spettro, noi invece li ammiriamo mentre lottano per rassegnarsi.

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