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1.9.14

Il giovane favoloso (2014)
di Mario Martone

CONCORSO
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA

Il rischio più grosso di Il giovane favoloso sembrava scampato dal titolo: realizzare un film calcato sui libri di testo, un ritrattino agiografico di un Leopardi come lo conosciamo dal liceo solo approfondito, celebrazione dell'artista, compassione per l'uomo e conferma di quello che sappiamo. Tutto questo sembrava scacciato dalla locuzione Il giovane favoloso, centrata così su un tratto del personaggio che promette discorsi che non siano i soliti, mettere in scena un personaggio e non parlare unicamente di lui ma usarlo per raccontare qualcosa di più grande, questo purtroppo accade solo ogni tanto. Fare un film su Leopardi che non fosse su davvero Leopardi. E come detto a tratti si intravede la possibilità di spostare l'attenzione sull'istinto vitale umano in un corpo infame, la forza sovversiva in un fisico che è una gabbia che nel tempo va stringendosi.

Ovviamente la gobba, il camminare a stento e la fatica del vivere che si manifesta carnalmente era una conditio sine qua non per il film ed è anche la cosa più riuscita cioè partire e arrivare sempre ai dolori fisici, alla deformazione del corpo, alle ossa che si piegano e le mani che tremano. La lotta dello spirito contro la carne in un ragazzo tempestato da istinti e volontà giovanili di ribellione ad un'educazione costrittiva (e più in grande contro lo stato), se davvero fosse stato così in pieno Il giovane favoloso sarebbe stato realmente appassionante, invece Martone tiene ai margini questa dimensione e gli preferisce un più banale e scontato discorso sulla parola e addirittura sulla poesia. Di continuo Leopardi declama le sue poesie da solo verso l'orizzonte, fa dei terribili soliloqui e ripete nozioni sulla propria vita.

In questa maniera la ricostruzione storica di Martone (che pare fotografare il passato e il "costume" come Herzog) ricalca la produzione leopardiana, senza mancare di citare nessuna opera famosa mostra la morte di Silvia per tisi, l'ermo colle e le ginestre, gli fa dire dagli amici "Belle queste tue Operette morali" o "Ma è vero che stai scrivendo di una lotta tra topi e rane?" e via dicendo. La piaga dell'esattezza e della ricostruzione fedele.
Menzione obbligatoria ad Elio Germano. Si tratta di uno di quei ruoli da premio obbligato, fatti a forma di grande prestazione ancor prima d'essere interpretati, lo stereotipo del bravo attore che a tutti piace vedere e celebrare a prescindere dal risultato. Sarebbe stato etichettato come bravo comunque, a prescindere, eppure in questo binario di recitazione obbligata e standardizzazione del calco storico Germano realmente si distingue, mette in scena bene il dolore del fisico e come ingabbi qualcosa di più grande, in certi punti (i momenti di felicità) riuscendo addirittura a trovare lo stupore sincero dello spettatore, come se si stesse guardando il vero Leopardi.

3 commenti:

alp ha detto...

lontano forzatamente dal Lido, mi sto ovviamente abbeverando alle fonti di voi critici senza poter controbattere nè aderire.
Una cosa pero' ho l'urgenza di dirtela: si puo' essere o no d'accordo con te, ma ti rendi conto QUANTO SEI DIVENTATO BRAVO???
davvero complimenti; interessante da subito ( nove anni piu o meno?), negli anni hai acquistato una profondità e uno stile corposo e sempre piu personale e vedi spesso le cose da un'angolatura insospettabile, saluti


gparker ha detto...

ti ringrazio molto e non so che rispondere

grazie!


gparker ha detto...

ti ringrazio molto e non so che rispondere

grazie!


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