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9.6.16

Nel nome di mia figlia (Au nom de ma fille, 2016)
di Vincent Garenq

Neanche è partito Nel Nome di Mia Figlia che già cominci a farti delle domande sulla plausibilità di quel che stai vedendo. Daniel Auteuil, nel presente, è un uomo anziano, somiglia a se stesso solo più arruffato e “bianco”, poi parte il racconto dagli anni ‘70 ed è se stesso con i capelli neri, solo vestito meglio. Quanti anni ha? Almeno 45 anni indietro nel tempo sembra sempre quel che è: un sessantenne, solo stretto in abiti d’epoca e con i capelli neri, come il ragionier Fantozzi quando, ormai in pensione, si trucca da giovane per essere riassunto. Si susseguono le annate e i decenni, Auteuil cambia trucco ma ha sempre la stessa età. Difficile seguire una storia così.

E dire che invece la trama, specie considerato che si tratta di un fatto vero, appassionante lo è sul serio, un caso di ingiustizia clamoroso riguardo la morte di una figlia e la maniera in cui un padre ha dato la caccia al vero colpevole, il patrigno, nonostante lo stato tedesco (suo paese d’origine) facesse di tutto per impedire alla Francia di giudicarlo o incarcerarlo, anche in barba al diritto internazionale. C’è una dose di tenacia, tigna e cattiveria insita in questa storia tale da farsi strada anche in un film che sembra fare molto poco per lasciarla emergere. In Nel Nome di Mia Figlia c’è un accanimento dell’individuo contro le istituzioni (che solo alla fine diventerà accanimento contro un altro individuo) da farlo sembrare un ribaltamento necessario della dinamica opposta a cui siamo decisamente più abituati, cioè le istituzioni che perseguono i singoli. C’è una sete di giustizia abbinata ad una di vendetta in questa storia che impressiona e il film purtroppo ne raccoglie solo le briciole.

Intenzionato a riassumere ed esporre bene i fatti (compito che svolge con diligenza) Nel nome di mia figlia è affondato dal suo stesso protagonista. Anche lasciando stare le implausibilità anagrafiche, Auteuil mangia il film a furia di protagonismo attoriale e Vincent Garenq non pare in grado di arginarlo. Sfocia nel kitsch recitando la pazzia in una scena in cui parla da solo con gli occhi strabuzzati (ma dopo tornerà normalissimo per tutto il resto del film), recita la parte dell’intenso, cerca il proscenio sebbene sia in scena sempre lui. Ciò che poteva essere il trionfo di una caccia o di una persecuzione (a seconda di come lo si guardi), la grande ossessione di un padre, diventa in realtà lo show di un attore che, letteralmente, mette in scena se stesso, sempre alla medesima età, nell’atto di recitare una parte importante.

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