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12.4.17

Moglie e Marito (2017)
di Simone Godano

La cosa che più rimane impressa dopo la visione di Moglie e Marito è quanto questo film apparentemente molto semplice viva di un lavoro di squadra molto raro nelle commedie italiane, così bilanciato e ben gestito, così ben tagliato ed essenziale da non possedere quasi nessuno dei difetti che attribuiamo al nostro cinema non autoriale. Un film che addirittura fa ridere davvero, un unicorno nell’universo commerciale italiano.
La storia dello scambio di corpo tra moglie e marito è una delle mille possibili variazioni di un genere che, al cinema, nasce con Tutto Accadde un Venerdì a fine anni ‘70, non è nuovo né deve esserlo, è altro: è un classico. Moglie e Marito però ne fa una versione molto concentrata sul meccanismo e sull’esplorazione. Invece che dimenticare il motivo dello scambio lo esalta e ci lavora sopra, elevandolo da banale MacGuffin a centro nevralgico del senso del film. Come fa la fantascienza più moderna questa storia scritta da Giulia Steigerwalt ha un inconsueto interesse per il meccanismo: perché si sono scambiati? cosa è successo? “scientificamente” (virgolette d’obbligo) cosa gli sta accadendo? come ne potranno uscire?

Su questa base Simone Godano gira un film che punta tutto su attori e attrici, uno in cui anche l’interpretazione dell’ultima delle comparse è estremamente curata e sincronizzata sul ritmo a cui battono tutti gli altri, cioè quello segnato dai due protagonisti, quasi coautori del film. Sta infatti a Pierfrancesco Favino e Kasia Smutniak lavorare di interpretazione, corpo e volto per animare gag che non possono funzionare sulla carta come dal vivo, che anche quando sono di parola dipendono unicamente dall’inflessione, dal tempismo e dalla dinamica. Il loro complesso di movimenti, reazioni, cadute, risposte sbagliate e l’interazione a tre che riescono ad animare assieme all’impagabile Valerio Aprea (qui un vero mediano di spinta, lavora per gli altri e per sé, serve battute e si riserva i propri assoli, un piacere da guardare), è dei migliori in assoluto. Non è tanto una questione di imitare l’altro sesso, ma di fare qualcosa di questa imitazione, di sacrificare un po’ di plausibilità per un po’ di commedia, scartare a volte il realista per il piacere della finzione e così riuscire a dare l’impressione di divertirsi assieme al pubblico.

Non stupisce che in questa terra di mezzo tra il divertito e il divertente sguazzi Pierfrancesco Favino che da sempre, anche nei ruoli più seri, ha dimostrato di avere un temperamento da commedia fantastico, forse tra i migliori in assoluto, dotato di tempi incredibili e di grandissima profondità di visione: far ridere per dire qualcosa. Stupisce semmai che Kasia Smutniak, in passato mai determinante in una commedia, tenga benissimo il passo del suo partner e anzi spesso dia l’impressione meglio di lui di avere dentro di sé Favino che si agita in un corpo smilzo e attraente che gli va strettissimo e lo costringe a mille diversi obblighi e doveri di cui non vuole nemmeno sentir parlare.

Era facilissimo scadere nella macchietta, era facilissimo essere una copia scialba e provinciale del cinema americano, era difficile invece realizzare un film dalla tenuta così tesa e costante, che non perde fiato nemmeno a tre quarti, quando solitamente tutti i film accusano un po’ di stanchezza, e anzi rilancia con una gran cavalcata finale.
Addirittura anche quel po’ di tenerezza d’ordinanza, quel po’ di miele che sembra obbligatorio non è difficile da trascurare.
Moglie e Marito è in buona sostanza il trionfo del meccanismo della commedia, della buona scrittura, della direzione equilibrata e di un lavoro coordinato, preciso e ammirabile tra tutti i reparti. Un’opera che non si vergogna del proprio statuto, come spesso capita ai nostri film sempre presi da velleità fuori luogo, ma anzi ne è quasi esaltata, libera dai lacci del dover essere altro e a proprio agio tra il pubblico.

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