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28.11.15

Sunset song (id., 2015)
di Terence Davies

FESTA MOBILE
TORINO FILM FEST
Non sembra nemmeno tratto da un romanzo Sunset Song (invece sì, quello scritto da Lewis Grassic Gibbon) tanto è fondato su un immaginario visivo e soprattutto su un montaggio sballato e sempre meravigliosamente fuori tempo. Tanto è puro cinema anche nell’uso di una voce fuoricampo tra le meglio scritte che si ricordino.
La storia di Chris Guthrie, contadina con madre morta a poco dall’inizio del film, padre prepotente e fratello che preferisce andarsene via, in città, è una parabola d’orgoglio nazionalista scozzese. Nel film però la costruzione della mitologia contadina delle Highlands è per Terence Davies non solo la sua solita rievocazione di un passato che ha i contorni del sogno, le canzoni dell’epoca e la patina dell’illustrazione, ma soprattutto un momento di pura vita.

La cosa incredibile di questo regista che ragiona come nessun altro, è come sia capace di trovare la vitalità e l’ardore nelle soluzioni registiche meno scontate. Nessuno come lui, e specie in questo film, sembra in grado di gestire il silenzio. Dotato di un controllo originale sulla colonna audio (che già aveva sfoggiato in Voci lontane sempre presenti, un film che sembra tutto cantato dall’inizio alla fine) in quest’elegia bucolica in cui la natura non è mai nemica, se non a parole, trova nei silenzi momenti di incredibile espressività. Addirittura riesce a lavorare sul matrimonio, momento topico tra i più banali in assoluto, sospendendo il primo piano dei due sposini per qualche secondo in più del normale, levando l’audio e creando di fatto attimi di inattesa astrazione cinematografica, in cui sembra di non essere più in grado di capire quale sia la sostanza delle cose.

L’incedere dei molti eventi, l’ingresso della grande storia nelle piccole storie dei protagonisti (la prima guerra mondiale), gli immensi scenari naturali, come i campi di grano sono la maniera in cui Sunset song richiama l’epica nazionalista di Via col vento, il tempo che scorre e la vita che macina vittime e vittorie. Ma è con le scene in casa e con i momenti di pura sospensione (in quello che sorprendentemente rimane un film molto concreto) che vince la battaglia con il passo lento che ha scelto, spezzato di tanto in tanto da momenti che diventano subito memorabili come la grande notte di pioggia in cui portare i cavalli nel fienile.

Addirittura questo film dal fascino misterioso si può permettere svariati scivoloni come la scena abbastanza ridicola del repentino cambio di carattere del marito ideale o quella, girata in maniera incomprensibilmente pessima, del delirio della protagonista davanti al più inaccettabile dei lutti. A Sunset song si perdona tutto perché è un treno in corsa lanciato a velocità bassissime che tuttavia tutto travolge, nel nome della descrizione dello spirito di un popolo attraverso una creatura prescelta, una donna umile (come sempre è) che pare tutt’uno con la natura non a parole ma con la suggestione.

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