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28.9.12

Appartamento ad Atene (2012)
di Ruggero Dipaola

Esistono due filoni principali di film sul nazismo, due exploitation diverse (per questo Tarantino parte sempre un passo avanti agli altri, perchè è l'unico a scartare le regole e farne di proprie). Una è quella dei campi di concentramento, l'altra quella dei rastrellamenti e delle paure nelle città occupate. In entrambi i casi la preferenza solitamente va verso storie che coinvolgano i bambini, più che altro in veste di spettatori traumatizzati o motori inconsapevoli delle tragedie (per questo Spielberg è migliore di tutti, perchè all'interno di un genere canonizzato ne distrugge gli stereotipi).
Appartamento ad Atene, come suggerisce il titolo, appartiene alla seconda categoria di ricatti cinematografici, quelli che oppongono una brava famiglia ai soprusi quotidiani dei nazisti e all'oppressione della paura (fuori campo) di ciò che può accadere (ovvero l'altro genere di film).

Qui la storia è centrata su una famiglia colta e per bene, in disgrazia per motivi di guerra, che deve ospitare in una stanza un ufficiale nazista e quindi, praticamente, fargli da servitori. E mentre i genitori sono indaffarati a mantenere tutto in equilibrio, i bambini, guarda caso, creano piccoli terremoti o generano ansie collettive.
A tutto il consueto corredo di banali ruffianerie, inutili poetismi e consuete scene madri che caratterizzano i film sul nazismo Appartamento ad Atene associa anche il più fastidioso dei ritratti dell'infanzia, i bambini che parlano con parole che sembrano uscire dai libri, che fanno lunghi silenzi espressivi mentre discutono tra di loro e lanciano frasi memorabili. I bambini che non sono bambini, i bambini come gli adulti vorrebbero immaginarli, i bambini "sensibili".

Dovrebbe essere un dramma tutto interni e qualche esterno salvifico e dovrebbe essere un racconto di purificazione ed inferno, di perdite e impossibili redenzioni, ma Appartamento ad Atene non riesce mai a fare fino in fondo un lavoro sull'umanità vera dei suoi personaggi, nonostante sia quel che si propone di portare a termine. Non riesce mai a dare un'impressione di vero sentimento sotto la patina dei ruoli stereotipati. Il nazista di cui dovremmo scorgere la natura fragile rimane nazista e così il padre di famiglia oppresso di cui dovremmo scorgere la statura.
Insomma, un altro film sul nazismo.

1 commento:

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...ma sono vivo e non ho più paura! by Gabriele Niola is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 3.0 Unported License.