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14.6.17

Io danzerò (La Danseuse, 2016)
di Stephanie Di Giusto

C’è il cinema ad aleggiare in Io Danzerò, perché Loie Fuller è la danzatrice che oltre ad aver battuto per prima la strada della danza moderna, fondando diversi stilemi ancora oggi in voga, è anche l’ispiratrice di diversi tra i corti del cinema delle origini (sia dei Lumiere che di Melies) nonchè la protagonista di un corto di Segundo De Chomon. Le sue performance di ballo in cui agitava ampie vesti con effetti scenici e armonici inediti, aiutati da un impianto luci all’avanguardia che tramutava il bianco in diversi colori, sembravano perfetti per l’allora embrionale tecnica del cinematografo: ipnotiche, capaci di vincere il vincolo del bianco e nero (il bianco delle vesti poteva facilmente essere colorato in “postproduzione” con il medesimo effetto che aveva dal vivo) e così lontane dai molti canoni della danza di allora.

Quello che oggi sarebbe un perfetto video virale (ne ha tutte le caratteristiche di attrazione e performance) ieri era uno dei molti corti che intrattenevano gli spettatori nelle prime proiezioni di immagini in movimento, colori in cambiamento ed esseri umani nell’atto di fare qualcosa di clamoroso.
Certo non parla di cinema Io Danzerò, però per l’appunto così nota è la performance filmata di Loie Fuller (e le sue imitazioni) che il cinematografo incombe in questa storia di ossessione e ricerca, di proiezione dei propri sentimenti sulla persona sbagliata (la ballerina Isadora Duncan) e di massacro del fisico alla ricerca di qualcosa che lo trascenda, nel sacrificio per qualcosa di superiore, come se le due cose (la carne che deperisce, soffre e subisce dolore, e l’elevazione artistica) non potessero essere che vincolate.

In questa sceneggiatura così concreta, fatta di carne, malessere, dolore e tantissimo sudore si sente la mano di Thomas Bidegain, sceneggiatore di Audiard (con cui ha scritto Un Profeta, Ruggine e Ossa e Dheepan), di gran lunga la parte migliore di quello che per il resto somiglia troppo al consueto cinema biografico, in prima linea quando si tratta di santificare, attivissimo nella correttezza della ricostruzione, corretto nel rispetto della mitologia dell’artista e infine troppo pigro quando è il momento di creare, inventare e permeare quel che mostra di un senso che vada oltre l’ammirazione di una personalità artistica.

Davanti a Io Danzerò non è il caso di chiedersi se Loie Fuller fosse realmente così (scostante, autolesionista, brutale ma geniale e come sempre determinatissima a raggiungere standard sempre più elevati), quello vorrebbe dire fare il gioco, al ribasso, del film. Sarebbe semmai il caso di chiedersi cosa questa Loie Fuller abbia da dire, di cosa la sua parabola o le sue scelte siano emblematiche, quanto la maniera in cui la sua vita è narrata in questo film sia capace di suggestionare, creare, dare un’opinione o anche solo un punto di vista su quel che significa vivere e lottare nel mondo per un essere vivente. Ma basterebbe anche solo scatenare un qualche sentimento che non sia la solita e meccanica ammirazione per il genio solitario, ormai riflesso pavloviano che scatta già ai cartelli iniziali di ogni biopic.

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