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6.11.15

45 anni (45 years, 2015)
di Andrew Haigh

C’è una storia d’amore seria, matura e molto complessa dietro questi protagonisti di certo non adolescenti. C’è un film dalle ambizioni altissime, così alte che purtroppo non sempre riesce a mantenere le proprie promesse, lo stesso la maniera in cui combatte per farlo è affascinante.
45 anni è la storia di una coppia e di una lettera che piomba nella loro vita a pochi giorni dal 50esimo anniversario di matrimonio. È un documento che arriva fuori tempo massimo, la lettera che testimonia il ritrovamento del cadavere della precedente moglie di Geoff. Lui, evidentemente, per anni aveva atteso questo ritrovamento per poi rifarsi una vita con Kate e, apparentemente, dimenticare tutto. Nonostante ormai sia tardi per tutto e nonostante i due siano per l’appunto insieme felicemente da 45 anni, il turbamento di Geoff in breve si allarga e contamina Kate.

45 anni vuole giocare di sponda. Tutto ambientato oggi, nei giorni che precedono la grande festa dell’anniversario, cerca di fare da specchio e riflettere l’immagine del passato. La maniera in cui Geoff reagisce all’arrivo della lettera che riporta in vita (metaforicamente) una questione del passato, è la superficie riflettente che rimanda nella testa degli spettatori ciò che deve essere successo anni prima, quale dovesse essere il rapporto con la prima moglie e quanto, forse, non è mai finito.
Di giorno in giorno Geoff è sempre più assente, sempre più evidentemente preso da quella storia, da quei ricordi e da espressioni di rimpianto. Intanto Kate continua i preparativi per la grande festa. Proprio quel che accadrà nella festa (apparentemente niente, in realtà molto) potrebbe essere la pietra tombale sulla questione.

Sono senza dubbio ottimi spunti e anche il finale di una storia così peculiare sembra davvero il più adatto, minimalista, sobrio ma efficace. Eppure il delicatissimo lavoro d’equilibrismo tra detto e non detto, suggerito e chiarito, non riesce sempre ad Andrew Haigh. 45 anni, benchè sia perfettamente in grado di spiegare ai suoi spettatori le proprie intenzioni e le sensazioni che i personaggi non esprimono mai a parole, non riesce a manifestarle con l’intensità che (evidentemente) hanno. Le racconta senza lasciare che emergano e vengano provate o almeno suggerite. È un’impresa durissima ma anche la strada che 45 anni intraprende fin da quando decide di lavorare di recitazione e non detti, di colpire lo spettatore di sponda con l’ultima inquadratura, di attingere alla memoria e risvegliare fantasmi dentro chi guarda. È il percorso che ha scelto ma che non riesce a fare suo.

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