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12.1.16

La grande scommessa (The big short, 2015)
di Adam McKay

Sembra che questa volta Adam McKay abbia voluto fare l’autore, girare un film con un obiettivo molto serio (raccontare davvero e bene cosa sia successo con la grande crisi delle banche d’investimento americane), sperimentare stili di messa in scena diversi dal solito, mescolare soluzioni differenti e collaborare con molti attori di comprovato lignaggio. Il risultato è un tonfo dal fragore proporzionale alle ambizioni. La grande scommessa è la storia (basata su fatti veri) di alcuni uomini che, separatamente o meno, avevano capito cosa stava per succedere prima di tutti. Iniziando a lavorare in previsione del crollo dell’economia con circa 2 anni di anticipo questi riuscirono a guadagnare dalla tragedia finanziaria.
Per mettere in scena questa parabola la scelta di McKay è di rompere continuamente la quarta parete, far parlare tutti con gli spettatori e interrompere di continuo una narrazione che, visti i temi, poteva risultare noiosa.

Il modello principale per tutto il film è The wolf of wall strett. Dall’opera di Scorsese La grande scommessa deriva la sua associazione tra alta finanza e vita sregolata, nonchè la tendenza all’uso di voce fuoricampo e la già detta rottura della quarta parete, senza però avere quella febbrile elettricità che lega tutto come il migliore dei collanti. Come Scorsese anche McKay ritiene la finanza e i temi trattati troppo complessi per il largo pubblico, e non a torto, tuttavia la sua soluzione non è di trascurarli e buttarli nel cestino come subito mette in chiaro Jordan Belfort, visti gli obiettivi di La grande scommessa (spiegare la crisi) McKay è obbligato a sporcarsi le mani con mutui, debiti, subprime e via dicendo. Ad essere scelta allora è la meno inventiva delle soluzioni, interrompere il racconto e mettere degli inserti con volti e nomi famosi che fanno le spiegazioni attraverso delle metafore. Selena Gomez al tavolo da gioco, un noto chef tra i fornelli e Margot Robbie in una vasca da bagno, tutti parlano come professori cercando di spiegare concetti che hanno sempre meno interesse perché appaiono slegati dalla storia. La trama del film infatti ha più a che vedere con la sorpresa e lo stupore dei personaggi di fronte alla scoperta di quel che stava per accadere e la constatazione di un mondo in cui tutti, gioiosamente, cercano di accumulare denaro per sè, noncuranti delle conseguenze a lungo termine.

La tesi del film, ed è già grave che ce ne sia una univoca, è che lasciati liberi gli uomini pensano solo a sè e al proprio benessere, sono disposti ad ogni bassezza e angheria contro il prossimo. Per arrivarci però McKay vuole essere sicuro di aver “insegnato” l’economia al pubblico e gli spiegoni sono solo uno dei molti espedienti superficialmente inventivi e in realtà per nulla efficaci del film, ostacoli in un racconto continuamente spezzato e interrotto che rendono tutto più farraginoso invece che più chiaro. La grande scommessa avanza infatti imitando in tutti i modi la televisione. Non solo i suddetti inserti ricordano gli spot pubblicitari ma anche tutto lo stile scelto per il film ruota più dalle parti di The Office che da quelle del cinema. Anche i molti volti noti sembrano essere lì a promuovere la visibilità del film, a stimolare il pubblico verso qualcosa che forse non avrebbe mai scelto di vedere.
Troppo innamorato dei suoi attori (Christian Bale, Ryan Gosling, Steve Carrell, Brad Pitt), McKay li lascia eccessivamente liberi e come spesso capita questi disegnano per se stessi dei lunghi assoli. Tutto il film monta quindi insieme 4 storie principali in cui gli attori sembrano lavorare per se stessi, completamente slegati dal tono del film.
Fallimentare sotto ogni obiettivo (anche quello del mero intrattenimento) La grande scommessa è uno dei film meno riusciti che si possano vedere quest’anno.

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