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13.5.15

Il racconto dei racconti (2015)
di Matteo Garrone

FESTIVAL DI CANNES
CONCORSO

PUBBLICATO SU  
Era almeno da L'imbalsamatore che Matteo Garrone inseguiva la favola come scheletro narrativo, era da Ospiti che lavorava sugli spazi e sull'aria aperta in maniere tutte sue (raggiungendo punte di misplacement incredibili, luoghi impensabili ripresi per sembrare altro da quel che sono, contrasti arditi e scelte imprevedibili), è dal suo primo film Terra di mezzo che invece si appassiona ai corpi meno concilianti (troppo grassi, troppo magri, troppo alti, troppo vecchi, transessuali, rifatti, muscolosi ecc. ecc.), tutto questo giunge ad una sintesi in Il racconto dei racconti, in cui tre favole sono raccontate incrociandone destini e fili. Tutte hanno a che vedere con il corpo dei protagonisti e tutte si svolgono in luoghi reali (il ricostruito e il digitale è poco) che paiono di fantasia.

Il racconto dei racconti ha una qualità immediata ed epidermica, colpisce forte subito grazie ad un impianto visivo fondato sulla sorpresa che non è più quello tipico di Garrone, quello del brutto guardato con passione e un senso estetico acuto che lo rende fascinoso, ma quello del bello. Il bello che si trova in luoghi a cui seriamente si stenta a credere (tutti scovati in Italia), il bello di costruzioni ardite, composizioni cromatiche iperrealistiche ed esplicitamente pittoriche, esseri umani peculiari e in quello che può essere definito unicamente come un gusto per l'illustrazione sullo schermo.
I mostri, i ragazzi albini, i lunghi capelli rosso fuoco, il cuore gigante da mangiare su un tavolo bianco e i tramonti su gole di terra, nella versione di Garrone hanno il potere ancestrale delle antiche pitture. Evocano sensazioni primordiali più che battere il ritmo della storia, sembrano esistere per se stessi pronti per diventare frame da estrapolare più che momenti da rivivere.

In questo film in cui tre donne flirtano in un modo o nell'altro con il magico per inseguire i propri desideri (finendo nel sangue o nella fuga), esistono dei momenti d'equilibrio sognante tra la favola più pura (cioè la rappresentazione di archetipi narrativi in maniera fortemente simbolica), il gusto dello stupore visivo di cose mai viste (o almeno mai mostrate in questa maniera) e un'ironia che non ci si aspetterebbe in Garrone.
A farne le spese è l'adesione ai personaggi, l'elemento che più di tutti distanzia questo film dal genere fantasy. Non sono i costumi o i mostri ma il fatto che gli individui non rincorrano passioni fortissime, non lottino per se stessi o il proprio onore, non lascino mai avvertire (a fronte di molti discorsi passionali) un alito di sentimentalismo vero. Le avventure che cascano sulle loro teste non sono cercate ed affrontate ma subite con un freddezza affascinante ma non troppo coinvolgente, come per le favole l'impressione è sempre quella di guardare esseri umani diversi da noi con reazioni diverse dalle nostre, l'antitesi dell'immedesimazione e la personificazione della fascinazione a distanza.

Esistono eccezioni a quest'idea, come il bellissimo scontro iniziale di John C. Reilly con il drago marino o il momento in cui compare un pipistrello gigante attraverso gli stilemi del cinema dell'orrore, lo stesso è evidente che Il racconto dei racconti non vuole partecipare di quel che racconta ma ammirarlo da lontano come un mondo separato dal nostro, impressionante proprio per il distacco che impone. C'è in questa costruzione simbolica di immagini che vivano a sè, in universo distante, un fascino unico, quello che correva sottile nei film precedenti di Garrone e gli dava forza qui è esplicito e dichiarato. Il racconto dei racconti è un film unico in tutti i sensi, forse non facile, forse non conciliante per come si distacca da quello che conosciamo (specie in ambito fantasy) ma realmente unico.

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