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29.4.16

10 Cloverfield Lane (id., 2016)
di Dan Trachtenberg

Non fatevi trarre in inganno dal nome, 10 Cloverfield Lane ha una parentela di sangue con Cloverfield (il film di Matt Reeves del 2008) ma non ne è un successore né un antefatto, non è nemmeno ambientato nello stesso universo cinematografico. La presenza della parola Cloverfield nel titolo sottolinea semplicemente come le storie di questi due film, per tono, svolgimento, elemento sorpresa e immaginazione abbiano della affinità. Del resto l’impressione, già a metà film, è esattamente quella, cioè di stare assistendo ad un racconto parte della medesima raccolta di racconti di cui faceva parte Cloverfield. Sensazione che non farà che crescere fino alla fine.

Una ragazza ha un incidente d’auto e si risveglia legata in un bunker antiatomico. Un uomo l’ha salvata e chiusa là dentro con sè e un altro ospite poiché, sostiene, fuori è arrivato un olocausto atomico e gli alieni insieme (forse li hanno mandati i russi), l’aria è tossica e dovranno rimanere lì per un anno almeno, poi si vedrà. Sull’effettività di questa minaccia esterna si gioca tutto il film, cosa ci sia o se ci sia qualcosa è un mistero con il quale il film gioca bene, convincendoci di continuo di entrambe le cose. Caso raro 10 Cloverfield Lane ha anche un finale in grado di non deludere.

Il merito è prima di tutto di una sceneggiatura obiettivamente di ferro, fondata su un’idea che poteva facilmente portare ad uno svolgimento e una risoluzione banali, ma che sviluppata come hanno voluto i due creatori Josh Campbell e Matthew Stuecken con il contributo non trascurabile di Damien Chazelle (l’autore di Whiplash) si anima di personalità.
Gli intrappolati stabiliscono relazioni e dinamiche tipiche del genere eppure la determinazione, la pietà e la malinconia che attraversano la storia non sono comuni. Con una tensione sessuale silenziosa ma presente e un lavoro non indifferente per contrasto (con musiche e sequenze di un’allegria quasi malata), 10 Cloverfield Lane è pensato come un’opera di genere classica, un B movie a budget bassissimo e dal concept elementare, ma eseguito in maniera magistrale. Non a caso fondato sul carisma di un attore navigato come John Goodman per gran parte della sua terribile claustrofobia.

Non è cinema per gli amanti della plausibilità a tutti i costi o per gli appassionati della credibilità (siano o meno coinvolti nel film dei presupposti fantastici), anzi è cinema di avventura che sacrifica volentieri un po’ di plausibilità per un po’ di ardore, un po’ di realismo per un po’ di tensione ben eseguita. Persona normale trasformata in eroe di se stessa in virtù di condizioni eccezionali, Michelle è l’ultimo esempio di donna forte, con idee, volontà e caparbietà, un ruolo che forse qualche anno fa sarebbe andato ad un uomo ma che, assegnato ad una donna, scatena suggestioni, fobie e tensioni ancora maggiori.
Non sfiorando nemmeno le implicazioni visive clamorose di Cloverfield (l’unico vero film in grado di raccontare l’11 Settembre pur parlando d’altro), questo secondo film della famiglia Cloverfield è puro intrattenimento ma realizzato allo stato dell’arte.

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