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31.5.17

Wonder Woman (id., 2017)
di Patty Jenkins

L’impressione che si ha lungo tutto Wonder Woman è che chi ha diretto il film non sia la stessa persona che l’ha concepito. La ragione è che l’alternanza tra momenti estremamente potenti e visivamente impressionanti e altri di sconfortante banalità e terribile ridicolo, è tale da far pensare che non sia stata la medesima testa a concepirli.

La storia di Diana, della sua isola e di come affascinata dall’arrivo di un uomo abbia deciso di uscire dalla sua gabbia dorata per andare a mescolarsi con la razza umana, aiutarla, scoprire cosa sia (davvero) la guerra e la complessità di chi non è divino ma totalmente compromesso con le bassezze del mondo concreto, è un’avventura tra il femminile e il femminista, come si poteva prevedere, che si diverte a lanciare delle frecciate, non teme di suggerire che sull’isola Paradiso si pratica l’amore lesbico e nel complesso è ben congegnata ma pessimamente scritta. È un’avventura ribaltata in cui la spalla è l’uomo (una spia che dichiara di fare questo lavoro proprio perché particolarmente bello, cosa che solitamente era una caratteristica delle spalle femminili) e il gruppo di supporto è una banda di minoranze etniche, che stringono però legami insignificanti e con conflitti assurdi (stupidissimo quello del pur bravo Ewen Bremner).
Con il senno di poi, per quanto potesse sembrare allettante, l’idea di affidare il copione di un film di supereroi ad una penna formatasi con The O.C., Sex And The City, Grey’s Anatomy e Una mamma per amica, forse non era la cosa migliore.

Perché a fronte del materializzarsi in più momenti di quell’idea molto snyderiana del supereroe come un dio (e stavolta per davvero!), con inquadrature che lo sottolineano, pose enfatiche, un senso titanico di scontro oltre il concetto di umano e una costante di superiorità per genia della protagonista, Wonder Woman cede nei suoi snodi e in tantissimi dialoghi, si dimostra spesso incapace di ottemperare con classe ai necessari clichè del cinefumetto ma anzi dimostra molta naivitè (il rapporto con il villain è terribile) e propone un grande scontro finale abbastanza ridicolo. La palette visiva è la medesima desaturata e incline al rifrangere di fiamme sul metallo di Man Of Steel e Batman v Superman ma la qualità di ciò che avviene dentro (a tratti addirittura anche della CG) assolutamente no.

Peccato perché Gal Gadot, come si era ampiamente intuito, dimostra davvero di essere stata la scelta di casting migliore (non come Ares, per il cui ruolo è stato scelto forse l’attore meno adatto e credibile in assoluto, una pura follia). Indossatrice dal fisico slanciato e dall’eleganza naturale Gal Gadot in questo film è realmente una dea tra gli uomini, di una bellezza e una grazia radicalmente differenti dal resto delle persone che popolano l’inquadratura anche quando deve dimostrare maggiore forza e resistenza di loro. Non è solo Wonder Woman quando è in costume ma lo è quando non fa nulla, quando è in mezzo alle persone, dalla prima inquadratura sembra che non potesse essere nessun altro se non lei questo personaggio e a film finito è impossibile pensare che un’altra attrice possa prendere il suo posto. È superiore e determinata, indipendente e inscalfibile anche nei dialoghi o ancora nei piani d’ascolto (magistrale come metta in difficoltà e sovrasti Chris Pine anche fisicamente, pur non muovendosi, nella scena della barca). Talmente superiore che ci si chiede cosa faccia in un film a tratti così scalcinato.

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