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16.3.13

La frode (Arbitrage, 2013)
di Nicholas Jarecki

C'è un cinema della crisi statunitense ed è quello indipendente contemporaneo. Parte ben prima dello scoppio, dall'inizio degli anni 2000, si sviluppa e cresce fino a contaminare il cinema più grosso diventandone una delle parti più vitali. Quello è il filone che più di tutti parla di un altro tipo di Stati Uniti e, con la sua sola esistenza (per non dire con il suo successo), rivede le aspettative, i budget, le pretese e le stesse storie di Hollywood.
Poi c'è un altro cinema, più recente, più d'attualità che la crisi la insegue invece che rappresentarla, che la rende tema delle proprie storie, che la racconta mettendo in scena scenari capitalisti fallimentari.

Che si tratti di Margin Call (che racconta il fallimento Lehman Brothers) o questo La frode siamo comunque dalle parti dell'ancién regime, della restaurazione, del tentativo da parte di quella parte che rappresenta il vecchio sistema di raccontare, e quindi inglobare, il nuovo scenario.
La Frode, prende Richard Gere e lo infila in una storiaccia di capitalismo alla fine dei suoi giorni, un audace imprenditore, businessman infedele che vede la sua vita sul rischio del baratro per un omicidio involontario e per la scoperta da parte della figlia degli impicci della sua società.
Impicci nella vita, impicci nella professione, in tutti i casi i più poveri ne fanno le spese, in tutti i casi tutto si compra con un denaro che poi in realtà non c'è.

La frode non è solo un brutto film, lento, non interessante, mal concepito e messo in scena anche peggio (troppi ce ne sono e uno di più di certo non impressiona!), ma è la maniera più fasulla in cui raccontare e leggere la realtà attraverso il cinema, la più illusoria e fallace proprio perchè facile è diretta. E' un uomo d'affari travestito da impiegato, un film fatto in tutto e per tutto con una mentalità degna di qualche anno fa che si veste di nuovo e rinnega ciò che giusto ieri aveva abbracciato solo per inseguire i propri tempi.
Come si diceva poco più su: non solo brutto ma anche incapace di raccontare il contesto in cui è prodotto o la società che ne fruisce.

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