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8.10.15

Life (2015)
di Anton Corbijn

Un giorno dovremo capire cosa tenga ancora Anton Corbijn legato al cinema d'autore quando così palesemente non lo ama e sembra volerlo cambiare da dentro senza però avere un fine nobile a giustificare l'operazione. Control era un film biografico di terribile supponenza, diligente esecuzione e inesorabile insipienza: "Ammirate la vita di Ian Curtis raccontata senza mordente". The american è semplicemente un film sbagliato, che cercava di essere qualcosa di più rispetto al proprio genere (cinema di spionaggio) senza mai capire cosa sia necessario per riuscirci. La Spia forse è il suo lavoro migliore, finalmente dentro le regole (di nuovo del cinema di spionaggio), tutto atmosfere, riferimenti giusti (il libro e quindi lo stile di Le Carrè) e con un attore perfetto ad aiutare. Ora con Life ritorna a Control, ritorna alla parabola biografica per sineddoche, tutto James Dean raccontato da un momento peculiare della sua vita, l'attore visto un passo prima che diventasse quello che conosciamo. Eppure di nuovo siamo di fronte ad un film che sembra realizzato senza avere niente da dire.

La storia è quella del celebre servizio fotografico comparso su Life che annunciava l'emergere diell'attore, uscito un giorno prima dell'arrivo in sala di La valle dell'Eden, il suo primo film da protagonista, quello che l'avrebbe lanciato. L'idea in sè pare migliore di qualsiasi possibile esecuzione ma nello specifico Corbijn ci ha davvero messo del suo per asciugare il film di qualsiasi spunto.
Dane DeHaan mugugna cercando l'imitazione della parlata peculiare di James Dean e recita sopra ogni riga quanto a sguardi, espressioni corrucciate e bronci. È totalmente fuori tono rispetto a tutto il resto del cast (forse solo Kingsley che fa Louis B. Mayer è coerente quanto a gigioneria, ma non il resto dei personaggi). Il risultato è una figura poco sopportabile, molto oscura ma anche priva di fascino (binomio che porta dritto al disinteresse). Dall'altra parte il suo contraltare, ovvero Robert Pattinson nel ruolo del fotografo che lo ha seguito in quei giorni e poi nella casa dove è cresciuto, dovrebbe essere l'occhio vergine e innocente che scopre la fragilità dell'animo dell'attore ma è totalmente concentrato su se stesso e sul suo personaggio. Dovrebbe essere lo sparring partner bravissimo, la spalla che esalta il protagonista invece lavora per sè e anche male.

Questo non significa che esista un solo modo per fare un film come Life e che Corbijn non l'ha centrato, sarebbe bigotto ragionare così, significa che ha fallito secondo gli standard e le strutture che si era posto e che se voleva innovare non ha trovato nulla di significativo.
Non a caso, in tutto questo, Corbijn, che ha un passato da fotografo ed è molto concentrato anche al ruolo delle foto nella costruzione del mito e nello svelamento di una personalità, si agita senza riuscire a trovare una porta per entrare nella stanza che gli interessa. Per tutto il film sembra che i personaggi non vogliano essere guardati da lui, che si disinteressino del fatto che ci sia qualcuno che cerca di raccontare la loro storia e voglia coglierne le sensazioni, palesemente ignorandolo e cercando di non essere comunicativi.
La voglia sfrenata di fare un film d'autore partorisce un'opera vuota, formalmente ineccepibile ma anche tremendamente arrogante senza avere le basi per poterselo permettere. Lontano dai biopic tradizionali e dalle agiografie (se non altro!), Life non svela nulla di James Dean, non dice niente sulla fotografia nè tantomeno sul potere del "guardare". Non è cronaca, non è poesia e non è rielaborazione del mito benchè si capisce che vorrebbe essere tutto questo, e l'atto stesso di osservare un simile sforzo essere profuso con tale supponenza e incapacità è terribile.

1 commento:

Astarte ha detto...

"Eppure di nuovo siamo di fronte ad un film che sembra realizzato senza avere niente da dire."
Ok.
No, perché poi mi sembrava di essere l'unico a non capire, ecco.
Magari non ci arrivo, c'ho i miei problemi, c'ho avuto la malattia da regazzino.
Almeno il sollievo morale al sapere di essere in due a pensarla così.


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