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23.1.17

xXx: Il Ritorno di Xander Cage (xXx: Return of Xander Cage, 2017)
di D.J. Caruso

Questa volta Xander Cage viene caricato su un aereo ancora più grosso: “È grande il doppio di quelli cui eri abituato e ha serbatoi sufficienti a rimanere in volo per tre volte il giro del mondo”. In questo dettaglio sta molto di quello che è xXx: Il Ritorno di Xander Cage, grandissimo e grossissimo, pieno di esagerazioni non sempre necessarie (anche se stiamo parlando di un film che ne segue un altro che proprio dell’esagerazione aveva fatto la sua cifra) ma soprattutto terribilmente somigliante alla versione grassa del precedente e conscio di essere un’operazione mondiale, fatta per girare il mondo. Del resto anche Vin Diesel, com’è normale che sia, è la versione più bolsa di se stesso a 35 anni e nonostante faccia finta di niente, si vede.

Questo terzo xXx, il secondo con Vin Diesel, ha dimenticato tutto del primo se non lo spirito coatto. Ha dimenticato di essere nato come una specie di parodia di James Bond (lo stesso spirito che aveva animato Kingsmen qualche anno fa), ha dimenticato di avere un senso solo se le clamorose scene d’azione sono inserite in una trama dotata non tanto di plausibilità (nessuno pretende tanto!) ma almeno di una connessione causa effetto che regga e ha dimenticato che la coolness e la personalità di Xander Cage non sono nell’invincibilità ma nella fallibilità (tutte le volte che nel primo viene tramortito o fregato non esistono più). Invece questo film, in cui Vin Diesel è anche produttore e si sente, preferisce inserire un riferimento che strizza l’occhio al precedente e un membro della “famiglia” in più, invece che cercare una coerenza narrativa e un po’ di personalità.

Ogni grande film hollywoodiano vuole prendere tutto il pubblico possibile, ma solitamente si cerca con una certa grazia di non farlo capire troppo o almeno di scegliere una certa tipologia di spettatore da ammassare. xXx, come i Fast & Furious, li vuole invece tutti e non si vergogna di inserire Neymar Jr. (il calciatore) per acchiappare il Brasile o di dare ad una megastar di Bollywood come Deepika Padukone un ruolo sovradimensionato.
Per fortuna c’è D.J. Caruso che sembra riuscire a manovrare questa nave pronta allo schianto con un gusto per l’azione e il montaggio molto personali, addirittura rifugiandosi in nell’autoironia metacinematografica per ammortizzare i momenti più ridicoli e smussare uno script a rischio ridicolo ogni due pagine.

Questo regista decisamente sfortunato (dopo Disturbia non ha più trovato un successo) non solo dimostra la passione giusta per le coreografie iperboliche (c’è un Vin Diesel in moto sottacqua che è tra il ridicolo e l’esilarante, un montaggio iniziale della scemissima discesa in sci nella foresta che è da premio per il miglior lavoro su una scena dall’idea scemissima) ma anche la conoscenza corretta del cinema di arti marziali per dare un senso alle possibilità espressive di Donnie Yen (anche se non riesce a fare lo stesso con le ginocchiate di Tony Jaa).
Soprattutto Caruso gioca con quello che sappiamo, mette in chiaro che questo è un film che vuole ambire al franchise, scambia Samuel L. Jackson con Nick Fury per due volte (all’inizio con una nota, alla fine coprendogli un occhio) e senza arrivare alle vette di Phil Lord e Chris Miller, che hanno trasformato 21 Jump Street in un film che parla di se stesso e del suo farsi, sfrutta un’ironia che milita in quei ranghi.
Alla fine è grazie a lui, alla sua idea di ritmo e montaggio e alla maniera in cui mette in scena ironicamente una macchina gigantesca che xXx: Il Ritorno di Xander Cage, trova un minimo di senso. Altrimenti sarebbe stato un disastro di scene d’azione unite malissimo.

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