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16.5.18

Fahrenheit 451 (id., 2018)
di Ramin Bahrani

FUORI CONCORSO
FESTIVAL DI CANNES
 
Tutto Fahrenheit 451 (il romanzo) si basa sulla creazione di un potere mitologico dei libri, quasi magico, sulla loro esaltazione come oggetto così temibile, pericoloso e destabilizzante in quanto tale (a prescindere da cosa ci sia scritto), che un immaginario regime futuro li brucia tutti, senza discrimine, con un finale geniale che afferma l’esatto contrario, la forza del contenuto senza supporto. Il nuovo Fahrenheit 451 smarca subito l’idea del libro e dei supporti, allargandola. Ad essere bruciati in questo futuro aggiornato sono libri e server, computer, pellicola e vinili, i supporti materiali come anche la tecnologia non controllata dallo sistema (che ha un internet censurato chiamato 9). Il pensiero libero in continuo miglioramento e sofisticazione non sta nel libro ma in così tanti supporti da essere evidente che non sono loro ad essere dotati di un potere ma quel che hanno dentro.

Tutto il set-up del film di Ramin Barhani, scritto con quel diavolo di Amir Naderi, è una perfetta e coerente reimmaginazione delle idee di Bradbury per una società in cui i supporti di cultura, arte e pensiero sono molteplici e di molteplice natura. La censura che brucia e cambia il passato, oscura le potenzialità tecnologiche e monitora tutti. In più il film centra un altro punto che le altre distopie tralasciano sempre, cioè che in ogni invasato plagiato dall’ideologia e convinto di operare nel giusto si nasconde il desiderio di trasgressione, in ogni pompiere brucialibri convinto c’è un uomo che nasconde in casa penna e foglio, che scrive come di nascosto e che ammira fotogrammi di Cantando Sotto la Pioggia senza essere visto, senza che tutto ciò cozzi con la convinzione ideologica o necessariamente la incrini. Non esiste insomma fede alle regole e proibizioni di un regime o una religione senza trasgressione privata.

Purtroppo però il film non è in grado di andare oltre al suo set-up e una volta illustrato lo scenario e i personaggi, quando deve iniziare a far pedalare la trama creando tensione, azione ed eccitazione, muore. Gli eventi si succedono, sono molti e in teoria appassionanti, ma il film dimostra di non saperli raccontare. Anche se avvengono fatti e gli intrecci si tendono, lo stesso a noi non importa niente. Li vediamo svolgersi con lo scialbo Michael B. Jordan che si dimena senza essere in grado di colmare lui quel gap d’interesse mentre Michael Shannon, invece sempre più abile nei ruoli da villain, palleggia da solo.
Tutto lentamente crolla fino a che non arriva la fine a salvare il pubblico.

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