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19.2.18

Profile (id., 2018)
di Timur Bekmambetov

PANORAMA
BERLINALE
Una delle forme di reclutamento dell’ISIS è online. Non solo tramite video di propaganda, ma proprio tramite social media e Skype. Contattare qualcuno che ha mostrato simpatia per la causa da Facebook, intavolare una conversazione che vada a parare su questioni sentimentali, stabilire un contatto Skype, creare un attaccamento e così attirare le persone in Siria. Una giornalista ha fatto tutta la trafila fingendosi convertita alla causa, e questa raccontata da Timur Bekmambetov è la sua storia. Sono tutti attori a recitare e i nomi sono stati cambiati ma è a tutti gli effetti la cronaca di quel che lei ha scoperto e come abbia indagato senza muoversi da casa.

Tutto infatti è fatto in screencasting, tecnica di messa in scena che esiste da alcuni anni e che prevede che tutto ciò che si vede siano schermate di computer, senza il controcampo girato nel mondo reale. Questa è una storia ambientata lì, nei computer. Quando dialogano su Skype vediamo gli attori in volto, la colonna sonora sono le canzoni fatte partire o messe in pausa sul computer, il montaggio è dato dalle finestre che si aprono e si chiudono, dalle immagini o dalle conversazioni testuali che vanno avanti in parallelo a quelle via Skype. Tutto è narrato in “flashback” perché vediamo un mouse aprire una directory e pescare delle registrazioni in ordine cronologico, una ad una ci svelano cos’è successo. Ogni registrazione è un evento, una giornata, una conversazione tra la protagonista e il suo spasimante che cerca di reclutarla, o con il giornale con cui contratta l’articolo.

Ovviamente tutto avviene in multitasking. Mentre parla di partire per la Siria o cerca di far confessare a lui le tecniche con cui bombardano, fanno raid o ancora si spostano tra stati, le arrivano avvisi di nuove mail dal vero fidanzato che le parla di cose futili, un’amica le chiede quale vestito dovrebbe mettersi e intanto sul suo falso profilo Facebook arrivano immagini pro ISIS di gattini con Kalashnikov. E mentre veniamo a sapere del vero contesto da articoli di giornale che lei tiene aperti di sfondo, continua la relazione a distanza che diventa reclutamento e si fa sempre più sentimentale.

Che tutto ciò arrivi dal regista più barocco dei nostri anni è sorprendente, e per chi conosce altri film fatti in screencasting non sorprenderà sapere che è lo screencasting più denso mai visto. Ma è anche un trionfo di intelligenza registica, montaggio interno spesso sorprendente e applicazione delle grandi regole del cinema commerciale ad una storia vera e una forma inedita. Alle volte finisce una conversazione, viene chiusa una finestra e vediamo così comparire quella che le stava dietro in cui c’è un contenuto che interagisce nella nostra testa con quel che abbiamo appena visto. Cioè il montaggio.

Si possono insomma riconoscere tutte le tecniche note del cinema “tradotte” nel mondo del computer (diversi profili aperti danno l’idea di una crescente dissociazione mentale, messaggi scritti e cancellati prima di essere inviati di un’indecisione sentimentale e la comparsa a sorpresa di una musica lasciata accesa fa saltare il pubblico), forse anche per questo verso la fine emerge la sbrigatività tipica con cui Bekmambetov presenta le svolte, sempre ansioso del risultato e mai disposto a costruirlo con calma, e quindi alla fine un po’ ingenuo. Questa è però l’unica pecca di un film che senza sfociare mai nell’autoriale puro sperimenta con una certa verve le maniere in cui raccontare fatti veri che avvengono tra il nostro mondo e internet e dà ad una storia la forma che le calza meglio.

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