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10.2.18

Ore 15:17 - Attacco al treno (15:17 to Paris, 2018)
di Clint Eastwood

Quarto film di fila per Clint Eastwood ispirato da una storia vera e tratto da un libro scritto dagli stessi protagonisti di quella storia. Niente di controcorrente, niente di alternativo, ma gli eventi dal punto di vista dei protagonisti, la versione dei vincitori. Dopo Jersey Boys, American Sniper e Sully ora tocca alla storia dei 3 ragazzi americani in viaggio in Europa che, trovatisi sul treno in cui un attentatore era pronto a fare una strage armato di mitra, hanno sventato l’attentato a rischio della propria vita. Per dare ancora più adesione ai fatti reali inoltre i 3 ragazzi sono interpretati da loro stessi, personaggi e attori coincidono. La prestazione dei 3 non attori è fantastica, vista la loro non professionalità e testimonia la forza fisica che ancora anima Clint Eastwood, capace di fare ottimo uso di materia informe.

Il cuore di tutto è ancora il mito dell’eroe contemporaneo la persona più o meno comune, dotata di abilità particolari che in situazioni eccezionali ha la determinazione e la volontà di compiere qualcosa di incredibile per salvare gli altri. Non c’è niente che stia più a cuore ad Eastwood negli ultimi anni, sia il cecchino con il maggior numero di soldati nemici abbattuti sulle spalle e il carico di stress post traumatico che si porta dietro, sia il capitano di un aereo di linea che compie un mirabolante atterraggio d’emergenza senza che ci sia una sola vittima, siano infine questi 3 ragazzi (di cui 2 con un background militare) che sventano un attentato. In ogni caso a margine dell’atto eroico c’è sempre il singolo che si batte a suo modo contro le istituzioni, come se esistesse una frattura insanabile tra chi vuole fare bene il proprio dovere e lo stato che sembra non saperne mai riconoscere lo statuto o non aiutarli come dovrebbe.

Capita qui al più attivo dei tre ragazzi, il più desideroso di un ruolo nei corpi militari ma continuamente scartato e mai davvero integrato o riconosciuto nel suo valore e nella sua dedizione. Eastwood in queste storie tiene moltissimo a mostrare come nonostante tutto questi personaggi non si perdano d’animo e come siano accomunati da una tenacia silenziosa, dalla mancanza di lamentele, dall’accettazione di un ruolo e di un destino.
Lo si vede bene in questo film scritto così male da far venire rabbia ma anche da lasciar emergere con particolare ingenuità le intenzioni e le velleità irrealizzate.

Il racconto dell’attentato sul treno è intervallato con l’infanzia dei ragazzi, amici dalla scuola media. Ogni evento che ci viene mostrato del loro passato è un tassello che tornerà utile al momento dell’attentato, come se tutta la loro vita li avesse preparati a quell’azione, senza nascondere una certa fede in una volontà divina. Nemmeno Hereafter era così smaccatamente fiducioso nella presenza di un Dio cristiano nelle nostre vite, nel suo tocco, nel suo intervento e nel suo stare (anche lui) contro le istituzioni, Chiesa in primis.

C’è Dorothy Blyskal ad adattare il libro dei tre ragazzi, un’ex assistente di produzione (anche per Sully) alla prima esperienza da sceneggiatrice. E per quanto Eastwood lavori per riportare il copione sui suoi lidi (pur non disdegnando per niente la prospettiva adottata, anzi!), sembra evidente che il risultato sia la somma di uno script non eccellente nelle mani di un regista che invece eccellente lo è. Nelle mani di un filmmaker meno delicato sarebbe sfociato in puro cinema di propaganda straight to video, qui invece esiste una compostezza generale che continuamente offre il fianco al cinema migliore, quello che suggerisce, che si pone delle domande e che non ha paura di prendere una posizione conscio di poterla mettere in questione, di poter coltivare sia una convizione che un dubbio.

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